Palazzo Reale, Milano
Pop Art. Da Arte Popolare di cui Andy Warhol è stato indubbiamente uno dei massimi esponenti e il suo protagonista indiscusso e più spregiudicato:
“ Pop è consumo, pop è divertimento, pop è superficialità”.
Presente a Milano, a Palazzo Reale, dal 24 ottobre al 9 marzo, una grande personale dell’Artista, fulcro delle manifestazioni per l’Autunno Americano, insieme alla mostra di Pollock e gli Irascibili.
Warhol, personaggio eclettico, si è cimentato in arti come la scultura, la pittura, la scenografia, la regia, la fotografia. E’ stato anche attore e produttore cinematografico. Grafico di grande talento, trascorre i primi vent’anni della sua vita a Pittsburgh,Pennsylvania, dove nasce Andrew Warhola jr, il 6 agosto 1928, da una famiglia povera di immigrati slovacchi. Sono gli anni della Grande Depressione, anni difficili. Andy Warhol è un bambino particolare, che ha problemi di salute, spesso rintanato in casa perché ammalato. Coltiva la passione per il disegno e i fumetti. Pittsburgh, una città industriale, non è molto idonea alla carriera di un artista.Warhol, poco più che ventenne, finito l’Istituto d’Arte, si trasferisce a New York, che è considerata tra le capitali mondiali della cultura e dell’arte. I primi anni sono durissimi e faticosi, ma Warhol si affermerà presto. Già nel 1952 terrà la sua prima mostra personale alla Hugo Gallery.
Sua madre, con cui ha un rapporto affettivo molto intenso, lo raggiunge qualche anno dopo, lo aiuta nel lavoro, tra le altre cose, ricopia per lui le ricette per quel delizioso libro che pochi conoscono: Wild Rasberries. Il libro contiene cake designs, schizzi di torte e altre ricette, illustrato e scritto da Andy Warhol, prima che divenisse un celebre pittore e un divo del Jet set internazionale.
Sono gli anni 50. Gli anni dell’affermazione del sogno americano di benessere per tutti. Il consumismo, ormai ben radicato nella Società Americana, dà vita a una cultura di massa. Sono gli anni della ricerca di nuove tecnologie in tutti i campi, del cinema e della televisione, di nuove forme di espressione artistica, della pubblicità.
A New York Warhol lavora come grafico pubblicitario per riviste importanti come Vogue, Glamour, Harper’s Bazar, fa il vetrinista e gli piace la pubblicitàche interpreta come nessun’altro ha fatto prima lui.
In breve diventa il disegnatore più richiesto e meglio pagato del momento. Disegna anche scenografie per il teatro, ha talento da vendere, è originale, raggiunge il successo e la ricchezza prima dei trent’anni. Ma è, soprattutto, un ottimo imprenditore di se stesso.
Fonda l’impresa: ”Andy Warhol Enterprises”, verso la fine degli anni Cinquanta, per commercializzare le sue opere che riproducono oggetti di consumo industriale. Usa la tecnica della serigrafia che permette la moltiplicazione della stessa immagine innumerevoli volte.
E inizia la seconda parte della sua storia, che lui costruisce con molto impegno.
“Non c’è niente che riguarda l’Arte che uno non possa capire”.
In questa frase di Warhol è racchiusa molta parte del suo pensiero. L’arte deve essere consumata come un qualsiasi prodotto commerciale. In un mondo fatto di consumi di massa, dove i supermercati mostrano file della stessa merce, dove tutti mangiano e bevono le stesse cose, l’artista si ispira a oggetti, persone e avvenimenti della vita quotidiana e li rende visibili.
Warhol presenta l’arte come uno dei tanti prodotti seriali che si vendono nei supermarket e la espone ricordando a tutti noi che è un prodotto di consumo.
Con tecniche a impatto serigrafico, si dedica al riporto fotografico su tela o seta e ripete la stessa immagine tutte le volte che vuole, ritoccandola con colori decisi, alterandoli e vivacizzandoli a suo piacimento.
Lo fa con qualsiasi cosa: lattine di minestra in scatola della Campbell, bottiglie di Coca Cola, personaggi famosi, ma anche avvenimenti tragici, quali incidenti mortali e simili.
Non c’è denuncia o condanna nelle sue raffigurazioni, ripropone all’infinito la realtà che lo circonda senza attribuirle valore polemico o di dolore, semplicemente svuotandola di significato.
E’ un provocatore nato oltre a un grandissimo uomo d’affari.
“Fare soldi è arte. Lavorare è arte. Un buon business è la migliore opera d’arte”.
Secondo la concezione consumistica di Warhol, Trenta Figure della Gioconda sono meglio di una.
Marilyn, simbolo della mostra, viene consacrata da Warhol, qualche tempo dopo il suicidio, in tutto il suo splendore, per sempre.
Il segno in mezzo alla fronte è causato da un proiettile sparato da Dorothy Podber, una delle amiche frequentatrici della Factory, che, entrata, chiede a Warhol se può sparare e, alla risposta affermativa, colpisce Marilyn in mezzo agli occhi. L’equivoco viene dal fatto che “shot”, il vocabolo usato, può essere attribuito sia allo sparo che allo scatto fotografico. A Warhol, Marilyn piace con quell’imperfezione in mezzo agli occhi e non la restaura.
Andy Warhol è un uomo all’avanguardia. Ben Collocato nel secolo scorso che di Avanguardie è stato molto fecondo: vedi Cubismo, Futurismo, Surrealismo,Dadaismo, per citare i più significativi.
Gli interpreti di questi movimenti danno una notevole impronta all’arte del Novecento: un fiorire di stili che cercano di esprimere linguaggi artistici più fluidi, meno rigidi e legati alla realtà. Tutto il XX secolo è un susseguirsi e un inseguirsi di movimenti alla ricerca di nuove espressioni, spesso in polemica tra loro e spesso per la durata di un decennio. Warhol si afferma verso la fine degli anni Cinquanta, il periodo di maggior splendore dell’Impressionismo Astratto e dell’Action Painting, il primo vero movimento americano, guidato da Jackson Pollock. Pollock usa la tecnica del “dripping”, il colore fatto sgocciolare dal pennello o da un bastone, su una tela stesa sul pavimento. Una ventina di anni dopo Warhol concepisce “Oxidation Paintings”. Prepara grandi lastre o tele, con fondo trattato a rame e vi orina sopra, solo o con amici. L’ossidazione crea notevoli effetti cromatici: verdi, arancioni, oro e altre sfumature. Non si sa se il getto sulla composizione sia stato diretto in verticale o in orizzontale, conoscendo Warhol avrà tentato tutt’e due le posizioni. Le tele vengono anche chiamate “Piss Paintings”.
Notevole il ritratto di Richard Nixon, eseguito da Warhol in periodo elettoraleche scrive, di suo pugno, sotto il viso di Nixon: Vote McGovern, il suo rivale. Nixon lo inserisce nella lista nera dei suoi nemici.
La sala della Polaroid
La Polaroid, o Big Shot, è usata moltissimo da Andy Warhol che firma decine di ritratti a personaggi famosi dello spettacolo, della cultura e della politica, come si può vedere nell’ultima sala della mostra. La collezione viene esposta per la prima volta in Europa. “Io porto la mia macchina fotografica ovunque vada. Avere un nuovo rullino da sviluppare mi dà una buona ragione per svegliarmi ogni mattina”.
L’Ultima cena
Warhol, nonostante il suo spirito ribelle e provocatorio, non si sottrae al confronto con l’arte del passato. La sua ultima mostra avviene a Milano, nel 1987, con l’Ultima Cena ispirata a Leonardo da Vinci. Morirà lo stesso anno. Un Warhol mistico, diverso.

L’ultima Cena di Andy Warhol 1986
Andy Warhol, il mito
Gli anni Sessanta son gli anni in cui Andy Warhol crea il suo mito. Si fa ritoccare il naso e disegna lo stile delle sue parrucche, prima biondo platino, poi color argento, da cui non si separerà mai. Indossa abiti stravaganti, sempre controcorrente.
La Factory è il luogo in cui lavora con i suoi collaboratori. Uno studio rivestito di carta argentata alle pareti in cui si organizzano feste e eventi mondani esclusivi.
Rilascia molte interviste, sempre ironico, provoca costantemente la banalità con altrettante banalità su di sé. Crea un numero notevole di autoritratti: fa di se stesso il suo modello più interessante e si ritrae in maniera ossessiva.
“Mi piace essere la cosa giusta nel posto sbagliato e la cosa sbagliata nel posto giusto.”
Andy Warhol Autoritratti (foto dal Web)
Warhol si dedica con successo alla regia, contribuendo a rendere famoso il cinema cosiddetto underground, cioè fuori dai circuiti ufficiali e a basso costo.
Descrive senza riserve la vita quotidiana come fa nelle sue opere. Si circonda di ogni tipo di persone: disadattati, drogati, personaggi famosi e sconosciuti.
Vive la sua omosessualità senza costrizione e ipocrisia, da persona libera, condizione non facile a quei tempi. Alcuni suoi film durano a lungo: “Sleep” ben sei ore (si vede qualcuno che dorme per tutto il tempo), “Empire” otto.
Warhol subisce due attentati, di cui uno, nel 1968, lo riduce in fin di vita e in coma per più di un mese. Questo terribile avvenimento lo segna profondamente con conseguenze di disagio e dolore (deve indossare un corsetto su richiesta medica), per il resto della sua esistenza.
Un episodio che condiziona la sua arte e il suo stile di vita per sempre!
Chi conosce Warhol lo definisce un uomo timido, riservato e osservatore molto attento.
Muore a New York, il 22 febbraio del 1987, a 59 anni, durante un’operazione alla cistifellea, per complicazioni.
E’ sepolto a Pittsburgh. Pittsburgh nel 1990 inaugura l’Andy Warhol Museum
Andy Warhol e Peter Brant
Tutte le 160 opere esposte provengono dalla Fondazione di Peter Brant, un ricco uomo d’affari statunitense, con la passione per l’arte moderna, che ha curato personalmente la mostra.
Brant è stato grande amico di Warhol, ha condiviso la vita da Star dell’artista dagli anni Sessanta fino alla sua morte, iniziando a collezionare opere dell’autore in giovanissima età: la sua prima serigrafia sulla Campbell Soup,risale al 1967.
Racconta che Warhol amava molto Milano e considerava “The Last Supper”, il suo lavoro più sentito.
Warhol aveva la convinzione che la sua arte non gli sarebbe sopravvissuta.
Una bellissima mostra quella su Andy Warhol, un personaggio controverso e dissacratore, che ha avuto il coraggio di metter a nudo una società puritana e consumista.
Giovanna Rotondo Stuart
malos mannaja su Warhol
Ma veniamo a Warhol che afferma:
“Non c’è niente che riguarda l’Arte che uno non possa capire”
non è escluso che io possa tradurlo con
“non c’è arte se non c’è qualcosa da capire”
e il cerchio si chiude.
di più, cortocircuitiamo il seguente insieme di concetti:
“Warhol presenta l’arte come uno dei tanti prodotti seriali
che si vendono nei supermarket e l’espone ricordando a tutti
noi che è un prodotto di consumo. Andy Warhol, un personaggio
controverso e dissacratore, che ha avuto il coraggio di mettere
a nudo una società puritana e consumista”
non è escluso che io possa tradurlo in provocazione.
probabile che Warhol abbia voluto sbeffeggiare tanto l’aura di
*superiorità* che la maggior parte degli artisti si calza addosso
quanto il consumismo.
forse per questo era convinto che la sua arte non gli sarebbe
sopravvissuta perché la sua è un’arte-non-arte, ovvero una sorta
di “arte” funzionale ad una provocazione di concetto, ergo, in
ultima analisi, un’arte fortemente contestualizzata.
ma la gente guarda l’artista più che l’opera d’arte e questo avrebbe
dovuto saperlo, il buon Andy, che artista lo era nell’immagine
fin nel midollo, dunque capace di sopravvivere non solo alla
sua arte ma anche a se stesso
.
Ohi, comunque se l’obiettivo dichiarato è “portare l’arte a tutti”,
*entrare gratis ad una mostra* può funzionare quanto (meglio?)
della provocazione per assurdo della vendita a scaffale in un
ipermercato.
il nucleo polposo irrisolto (anche in Warhol) è che in un sistema
di mercato l’artista difficilmente è disposto per amore dell’arte
a rinunciare al suo ritorno economico
.
Baci, abbracci e a presto.