Orlando Sora di Fabio Tombari, introduzione

Dopo la bella serata a Rio Salso di Tavullia dedicata a Orlando Sora e Fabio Tombari, ho spesso pensato che avrei dovuto continuare la storia sulla singolare amicizia di questi due grandi artisti – un’amicizia durata tutta la vita – e pubblicare alcuni scritti di Fabio Tombari su Orlando Sora, ma sono stata travolta dagli eventi: una strana estate, solitaria e faticosa.
Lo faccio adesso, prima che altri eventi mi portino, fra qualche giorno, a presentare il libro “Omaggio a Orlando Sora – Artista del Novecento”, tra gli Amici dei Musei in una ridente cittadina del Salento.

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Orlando Sora

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Fabio Tombari

  Orlando Sora
Introduzione di Fabio Tombari al catalogo del 1967

Orlando Sora è un pittore che è tale per la sua pittura.

Questa affermazione sembra lapalissiana, ma non lo è. In tempi di surrogati anche l’arte è artificio.
E fin qui poco male. Non abbiamo visto tutti l’arte derivare dalla richiesta anzi che dall’ispirazione come i prodotti naturali della chimica? La critica che un tempo diceva il suo parere dopo, e a volte postumo come i funghi, oggi lo emette prima, con dettami a priori, sì che l’artista può essere considerato non per quello che produce, ma per quanto attua in ottemperanza alle leggi della critica. E come un malato, non ha che seguire le prescrizioni della ricetta.

In pittura e in poesia come nella scultura e nella musica.

E anche qui, transeat! Sarebbe un voler pretendere troppo che il formaggio non contenga la formalina, e l’olio di pura oliva il grasso di balena. Si può spremere di più da una balena che da un’oliva, anche per lubrificare le coscienze.
Quando l’arte era tale per sua natura e non per i suoi presupposti, era anche terapeutica. Le Madonne di Raffaello ad esempio, per loro stessa armoniososità si rivelano salutari; il retable d’Issenheim di Mattias Grunwald, ha poteri guaritori. Così il canto fermo, la grande nobile musica e la vera poesia che in antico era addirittura profetica.
Oggi è semplicissimo il contrario: o stordisce o non fa dormire, oppure esaspera al punto da rendere matti anche i savi. Perfino gli uomini di legge. Ricordo che per aver esternato il mio orrore per il delitto inqualificabile della farina mista a polvere di marmo, l’inqualificabile sono apparso io, che non vedevo nel mugnaio la buona intenzione di dare al pane quotidiano col suo maggior candore un maggior peso. Perché ormai si ragiona così e anche l’arte d’oggi è figlia di simili capziosità.
Dire perciò che un pittore è tale per la sua pittura, è tanto stolto quanto l’assentire che il vino possa essere fatto con l’uva. L’assurdo non è più nella frase, ma nel fatto in sé. Non per niente uomini come Carrà e Sironi hanno qualificato Sora come intuitivo, cioè genuino. Tanto intuitivo e generoso che più volte anch’io mi sono chiesto se egli sia consapevole. Gli amici dicono di sì, io direi di no, perché talvolta l’ho visto confondere il brutto col bello.

Insofferente, scontroso quanto ineguale, si contraddice anche fisicamente, sì che ancora sembra un giovanotto sportivo; ed espansivo com’è, vive quanto mai ritirato in se stesso. Modesto? Non l’ho mai capito. In tanti anni che lo conosco, e ci conosciamo dall’infanzia, non l’ho mai sentito dir male di un collega, mentre certi suoi amici lo attaccano aspramente. Vero è che di pittura parla malvolentieri. Di musica piuttosto (è un chitarrista squisito), piuttosto di boxe (è stato un welter dei più combattivi); ma di pittura…
E lo capisco. Abbiamo esordito insieme, e pur vivendo insieme nella stessa città ci siamo celati l’un l’altro le nostre attitudini, quasi fossero da tener segrete. Cos’è l’arte infatti se non la rivelazione di quanto più intimo si occulta nella nostra interiorità? C’è voluto un urto, perché la manifestazione esplodesse, per lui come per me.
Parlare di pittura, per un pittore sincero, è un mettere a nudo la propria colorazione interiore; in mezzo a tanta ciarlatanesca impudicizia, tale ritrosia è pure verecondia. Cioè testimonianza del vero.
Oggi si parla molto di originalità. In tempo di sofisticazione, in cui tutto è falso o alterato, è uno dei vocaboli più correnti; ma lo si usa in modo erroneo: originale per stravagante, bizzarro. Ora l’argomento merita una riflessione. Perché la stravaganza ha i suoi ammiratori? Perché si è sempre ritenuto che stia a denotare, come l’anticonformismo, una personalità spiccata: così il poeta fa di tutto per mostrarsi eteroclito, e altrettanto quelli che si dedicano alla pittura, alla scultura e alla musica.
Guardate di quante bizzarrie si vale la cosiddetta arte innovatrice. Ogni muro, ogni sonata, ogni dipinto vuol essere diverso dal solito. La plastica si serve addirittura del filo spinato come i cavalli di Frisia. E, fatto curioso, finiscono per somigliarsi tutti, quasi bottoni di bretelle.
Perché questo? Perché la vera originalità è quella, come dice la parola, che proviene dalle origini. E quanto più si discosta, per un arbitrio che vuol essere indipendente, tanto più si cade nella schiavitù e nell’amorfo dell’anonimo.
Prova ne sia che mentre gli antichi non sentivano la necessità di firmare per distinguersi, il pittore moderno, ad esempio, che fa di tutto per rendersi incomprensibile e oscuro, firma il proprio manufatto con una chiarezza pedestre. A volte, prima ancora d’aver incominciato
Orlando Sora no. Molti dei suoi dipinti più belli non sono neppure siglati. Perché? Perché è veramente originale. Appartato, dubitoso anche di sé, quanto provato dalla vita che ha dovuto rimontare anche lui controcorrente fin dalla prima giovinezza, mira al lavoro e non al successo; perché è l’attuazione che ama e sente difficile: e chiuso in quel suo standone di via Appiani, ha più dell’artiere che dell’artista.
Crede in quello che fa? Penso di sì, malgrado il fatto che i suoi lavori, una volta giù dal cavalletto, li metta tutti con la faccia al muro. Geloso? Ritroso nel mostrarli.
Se parla della sua opera è per parlare del lavoro, della manualità del lavoro, delle difficoltà e della gioia nella fatica; è autore di molti affreschi (è uno dei rari a conoscere oggi la pratica della pittura murale e dell’encausto), l’intonaco fresco sembra interessarlo più della propria realizzazione. Non per niente ogni sua pittura ha il pregio di un difetto: quello di prender corpo e di rendersi sostanziosa. Tutta la sua pittura mira a diventar plastica. Tutta? La prima sua Madonna no.
Vero è che anche lui, più volte, ha dovuto accondiscendere. — Monsieur Orlando, faites-moi le sourire de la Gioconda! — come diceva la vecchia dalla dentiera. L’arte quando diventa professione — cosa che in lui per la subitanea notorietà s’è verificata molto presto — deve anche adattarsi alla richiesta. Non è forse un modo di saggiare se stesso alla prova del mondo? Ma la sua istintività l’ha sempre salvato, anche a propria insaputa.
Ed ecco nei suoi complessi figurativi, specie religiosi, dove le figure sembrano effondersi e confondersi nell’indeterminatezza propria al corale, i colori del paesaggio accendersi qua e là — quello smeraldo, quel turchese, quel rubino — con la vivezza delle pietre preziose. Perfino nelle nature morte, che non sono morte.
Perché mai? perché il colore la vince sul coloritore.
Sempre? No. Nei ritratti il signore è lui.
E lì, quando vuole, domina incontrastato.
Non conosco nessun altro che sappia cogliere con la somiglianza somatica la controparte animica d’un volto: specie nei ritratti di donne e di bambini.
E questo fin dal suo esordio. In genere, e senza voler dir male d’ alcuno, molti ritratti odierni di bambini sono legnosi. O evanescenti o legnosi.
In Sora no. Quella freschezza, quella grazia, restano infantili malgrado il turgore della fisicità addirittura parlante.
Vero è che Spadini, col quale condivide la ventura di aver trovato nella propria famiglia i soggetti dei suoi primi lavori, vero è che Spadini gli ha pure insegnato la leggerezza del tocco. Ma quella levità ora è sua. Così sua che mentre Spadini, da quel grande che è, si vale di indefinitezza, Sora può restare preciso e consistente conservando la grazia propria all’oggetto.
Dirò di più: In genere la pittura di questi ultimi 50 anni è valida soltanto per noi. Provate a collocare un ritratto d’oggi accanto ad opere antiche, e vedrete che difficilmente ne regge il confronto. I colori, schiarendosi, hanno perduto di profondità e si rivelano superficiali come in genere ogni produzione attenta solo all’invenzione e all’effimero. E la cosa da un lato, può valere anche per Sora. Non per tutti i suoi ritratti, però; alcuni dei quali reggono il paragone come opere già stagionate.
Siamo sempre lì. La sincerità (da cui quel pudore detto dianzi) è figlia di quella stessa originalità che moveva gli antichi: tutti sul flusso d’ una grazia interiore che è andata perdendosi

Ecco perché Sora non ha parte nella nouvelle vague.
La pittura oggi in discussione è tutt’altra cosa. Impegnata in denunce, in colloqui, in messaggi ultrasonici o politici…Nessuno di noi ardirebbe ordinare un ritratto a tali pittori di grido; a meno che non goda nel veder riprodotto in brandelli o maciullato un mortale nemico.
Concepita (o meglio confezionata) nell’autunno se non nell’inverno delle arti figurative — e Sora ha il merito di essere uno di quelli che ne conchiudono la stagione — la pittura odierna non trae più i suoi succhi vitali dalla natura, e cerca nelle astrazioni quell’unione con gli astri con cui si sente affacciata con l’incalzare degli eventi, senza per altro essere matura a tale congiunzione col cosmo.
Ora una parentesi. In realtà la pittura è sempre stata congiunta con l’ordinamento celeste, fin dal primo arcobaleno apparso dopo il diluvio. E questo è anche il motivo del disorientamento attuale. Perché infatti, la pittura (e la migliore d’oggi) è indefinita? Perché vorrebbe essere infinita e non vi riesce. Ma è l’infinito che l’attrae. Ecco la ragione per cui molti ottimi pennelli trovano più comodo rifarsi all’incerto e all’arcaico, quando addirittura non se la pigliano con le costrizioni del disegno o della luce che frantumano in mille maniere. La religiosità quale comunione col divino è venuta a mancare e il ponte che consente di valicare l’umano, con c’è più. E si badi, non è già l’argomento religioso che possa colmarlo. La religiosità del soggetto non basta. E’ il colore, l’essenza stessa del colore che può trascenderlo. E soltanto il colore. E’ agli astri che esso aspira, perché è dagli astri che proviene. Così la parola, così il suono.
Ma l’uomo d’oggi vivendo del contingente e peggio ancora di quei surrogati della natura che sono cinema e macchine, s’è estraniato al punto, da non sentire in sé altre astrazioni da quelle cerebrali.
Quanto ne deriva lo vediamo: in arte il caos, nella scienza la bomba.
E come andrà a finire? Andrà a finire che l’arte, la vera arte, o finirà del tutto, e con essa l’uomo, o soltanto l’arte vera potrà salvarci.
In che modo? Tornando a dar valore alle parole; a cominciare da quella usata poco fa: originale, che si rifà alle origini. Non già tornando indietro, si badi bene, ma procedendo in avanti fino a trovare quella finalità, quello scopo, che era in potenza fin dal primo principio della creazione: il divino in noi. Gli astri, che andiamo cercando fuori, li dobbiamo trovare dentro.
Sora non ci pensi. Continui a credersi operaio delle sue proprie opere, un affrescatore di pareti, e più ancora, quel ritrattista sicuro e oggi quasi senza uguali che egli è; e lasci al tempo l’incarico di stagionargli i lavori: Perché è nel lavoro che si compie il destino di ogni uomo. E il lavoro dell’artista è un processo continuo di chiarificazione, per sé e per gli altri.

Resti perciò fedele a sé stesso anche coi suoi difetti, e darà il meglio che ha sempre generosamente profuso. Poiché la sua immediatezza è naturale, genuina come quel vino, che per esser fatto con l’uva, sembra anacronistico.
Non per niente in confronto alle asperità e angolosità proprie ai gelidi artifici intellettualistici, la calda sfericità delle sue figure ci appare genialmente materna.

Fabio Tombari

2 Pensieri su &Idquo;Orlando Sora di Fabio Tombari, introduzione

  1. Giovanna, muy lindo e interesante todo lo que me mandas, pero ya no puedo leer mucho en la pantalla, por suerte, puedo leer libros.No se sabe todavía, pero estoy perdiendo el ojo derecho 0, tengo glaucoma,. Estoy esperando resultados de estudios que me están hacienda. Es la vida, Un abrazo fuerte , a la pareja feliz, y a los hijos y nietos muchos besitos . Beatriz Ferrario.

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