La piazza

Come ogni mattina Amanda se ne stava tranquilla a leggere il giornale e a bere il caffè, un piacere irrinunciabile nella sua nuova vita di pensionata. Era una bella giornata e si era seduta fuori dal solito bar, nella piazza centrale della città; sceglieva sempre un dei tavolini laterali, se lo trovava libero, le sembrava di avere più privacy, mettendosi di lato: “Una stupida fissa” pensava, ogni tanto.
“Ciao Amanda, come stai?” qualcuno la distolse dai suoi pensieri e dal giornale.
“Ciao Paola, sto benissimo, posso offrirti qualcosa, vuoi sederti un momento?”
“No, mi dispiace, oggi proprio non ho tempo, devo andare a casa. Ci vediamo domani, magari”.
“Va bene. Buona giornata.”
Si leggeva i giornali bevendo un caffè, a volte due, macchiato caldo e senza zucchero. Era qualcosa di estremamente piacevole, dopo anni di corse mattutine per portare i figli a scuola, prima di raggiungere il suo luogo di lavoro, sempre in lotta con il tempo e l’ansia per la paura di far tardi.
Tra un giornale e l’altro, o tra un caffè e l’altro, c’era sempre qualcuno da salutare o con cui far due chiacchiere. Spesso incontrava amici e colleghi di lavoro o persone con cui si era trovata anni prima, quando portava i suoi bambini in piazza per passeggiare e giocare in un luogo senza traffico. Le accadeva anche di vedere mamme o papà che aveva visto piccoli e che, a loro volta, spingevano i loro figli in carrozzina o li accompagnavano per mano.
E non mancava la grande attrazione di tutti i bimbi! Il negozio di giocattoli che si trovava di fronte a lei, sotto i portici: una tappa obbligata per bambini di ogni età. Era già lì quando ci veniva con i figli e adesso ci portava i nipoti:
“Guarda nonna, Ciccio bello bua” diceva uno. “A me piace il trattore” diceva l’altro.
Tutti e due molto speranzosi. Ma lei non era dell’idea di comprare, pensava che avessero già troppi giochi ed evitava l’argomento “mi compri”. “La nonna non ha soldi” tagliava corto.
Nel frattempo, due donne e un uomo si stavano salutando nei pressi del suo tavolo:
“Ciao Max, ciao Anna che piacere vedervi”
“Buongiorno Emanuela vi ho visti a teatro ieri sera. Avrei voluto salutarvi, ma Max aveva fretta e così siamo andati via quasi subito”.
“Voglio sentire la tua opinione sullo spettacolo, io e Anna abbiamo idee diverse”.
“Cosa vuoi che ti dica… non è stato il massimo. Mancava la grandezza di Antigone, tutto il lavoro si è svolto intorno a lei, ma senza di lei”.
“Che strano, a me è piaciuto moltissimo, incalzante, un buon spettacolo, mi ha tenuto sveglia. Antigone è una delle tragedie più belle. Max non ha gradito la musica e parte della coreografia, vero Max?”
“Per niente, ma ci pensi suonare il rock and roll? In una tragedia di Sofocle? Anche in tuta? Per me è stato dissacrante”.
“Ma dai, non fare il bacchettone, non era per niente dissacrante… accompagnava un momento di climax. Il testo è stato rispettato, inoltre Creonte aveva un costume perfetto. E Gino cosa ha detto?”
“A lui deve essere piaciuto abbastanza, non gli ho sentito fare commenti negativi”.
“Vedi, Siete tu e Max i i criticoni”.
“Quasi, quasi mi offendo, potrò esprimere la mia opinione liberamente, oppure no? Emanuela, che impegni avete dopo domani sera tu e Gino?”
“Mah, niente che io sappia. Devo chiedere a lui…”
“Venite da noi a cena. E’ un po’ che non ci vediamo. Cosa ne dici? A te va bene, Anna?”
“Si, mi farebbe molto piacere. Vi prepariamo una cenetta vegetariana. Vi va?”
“A me si, penso anche a Gino, comunque, vi telefono”.
“Benissimo, telefonaci”.
“Ci sentiamo… ”.
Amanda aveva visto lo stesso spettacolo e non le era piaciuta molto, ma non per il rock and roll. Semplicemente non le era sembrata una bella Antigone.
Qualcuno stava allestendo un gazebo di propaganda elettorale dall’altro lato; spesso si posizionavano tavoli per raccolta firme, distribuzione volantini o altro. Piazzarono un tabellone con scritto – Vota alle Primarie – e la gigantografia di un ragazzotto: “Non male!” pensò guardandolo.
Gli attivisti erano due: un signore anziano, occhiali scuri con lenti molto spesse, e una donna.
La donna, non più giovanissima, aveva un aspetto moderno e dinamico: indossava blue jeans, un maglione ampio, scarpe da tennis bianche e portava i capelli tagliati cortissimi.
Lui si mise seduto al tavolo e lei, una volta finito l’allestimento, prese in mano un pacco di volantini che tentava di rifilare ai passanti, abbordandoli con un linguaggio simpatico e vivace e chiedendo loro di votare per le primarie del partito:
“Dai, vota alle primarie… vedi com’è bello il nostro candidato?”
“Dovrebbe essere bravo, piuttosto”
“Garantito. Vota alle primarie…”
“Le primarie di che?”
“Le primarie di partito!”
“Ma che cosa sono?”
“Si sceglie il segretario del partito…”
“E perché dovrei?”
“Perché è necessario rinnovare i partiti“.
“I partiti bisogna eliminarli”.
“E come facciamo senza?”
“Sono solo delle Società Per Azioni! Dei mangiasoldi”.
“Per questo si deve cambiare, vota alle primarie!”
“Io voto quelli delle stelle… “
“Anch’io, ma adesso bisogna votare per le primarie!”
Amanda, incuriosita, smise di leggere per osservare e ascoltare la tizia in questione, la quale si era messa in posizione strategica, in mezzo al passaggio, per intercettare meglio la gente che andava e veniva sui due lati. “Tipo interessante” rifletté “potrei parlarle”.
Pur di ottenere qualche risultato la donna dava un colpo al cerchio e uno alla botte. Lei la capiva, la situazione del paese rendeva tutti stanchi e sfiduciati…
Una volta aveva tentato di fare politica, ma aveva letteralmente i figli in mezzo alla strada e aveva dovuto smettere. Di tanto in tanto si buttava in qualche campagna solitaria a favore di qualcosa, la iniziava e non la mollava finché non vedeva qualche risultato, pur minimo che fosse. La politica è una passione, ce l’hai dentro.
Oggi avrebbe il tempo per dare il suo contributo, tuttavia era titubante. Troppo accattivante questa libertà di cui finalmente godeva e impegnarla in riunioni, spesso lunghe e inutili, la tratteneva dal prendere delle decisioni. Essere libera di alzarsi al mattino e decidere che cosa volesse fare per il resto della giornata, dopo una vita di lavoro, era una sensazione che la esaltava.
Continuò a sfogliare il giornale con poco interesse. Alla fine pensò di andare a fare una passeggiata.
La piazza aveva una forma insolita, larga e lunga, e si estendeva tra due lati di belle case, per lo più in stile liberty. Sulla destra, andando verso nord, una fila di portici l’accompagnava per tutta la sua lunghezza. Dall’altra parte, di fronte ai portici, si snodava una serie di palazzine che avevano finestre e balconi con doppia vista sulla piazza e sul lago, che si trovava al di là.
Tutti e due i versanti della piazza erano arredati con negozi, bar e ristoranti. Un piccolo mondo dove si trovava di tutto: non solo il negozio di giocattoli, ma anche quello del gioielliere, la gastronomia l’edicola, la macelleria, anzi, le macellerie erano due, una accanto all’altra!  E poi la panetteria, quella dove lei si recava ogni tanto a comprare il pane appena sfornato, lo mangiucchiava camminando: “Vivrei di pane” diceva spesso.
Nel corso degli anni, molte attività commerciali si erano rinnovate o avevano cambiato del tutto la loro ragione sociale: si erano perse alcuni antiche botteghe a beneficio di bar e ristoranti, profumerie e bijou, ma, soprattutto, abbigliamento. “Come se la gente pensasse solo a profumarsi, a vestirsi e poi basta”, rimuginò Amanda tra sé, guardandole.
Nonostante i tanti negozi di abbigliamento e profumerie, la piazza aveva conservato ancora, e per fortuna, un commercio multiplo e accogliente.
Una volta, ricordava, si faceva il mercato sia il sabato che il mercoledì. Il mercato era caratteristico con le sue bancarelle ai lati della piazza e si comprava di tutto: dalla frutta e verdura alla merceria e biancheria, dalle sementi agli uccellini tenuti in gabbiette claustrofobiche che la inorridivano; si trovava persino la gommapiuma da taglio, il ferramenta e l’arrotino.
Lei andava a farci il giretto il sabato mattina, era la sua mattina libera e bighellonare tra le bancarelle, la rilassava. Tornava sempre a casa con qualcosa. In seguito, per esigenze di traffico, il mercato era stato decentrato e lei non era più andata.
Venendo dalla via più importante del centro e andando sempre verso nord, si poteva ammirare, sullo sfondo, il panorama delle montagne e il bel campanile che si stagliava conto di esse.
Amanda si avvio verso il campanile dove la piazza si apriva su un’altra piazza, aperta sui tre lati, con vista su quel lago sublime, sovrastato da montagne, tanto decantato dal Manzoni,
Lungo i portici s’intravedevano le viuzze chiuse al traffico del Centro Storico, anch’esse con i loro commerci e mercanzie di tutti i tipi, e, verso la metà, dalla parte opposta ai portici, si aprivano un paio di passaggi ad arco che portavano al lungo lago. A lato di essi il Palazzo delle paure, così nominato perché tempo addietro era stato la sede dove si riscuotevano i tributi, attualmente aveva altre funzioni, tuttavia il nome era rimasto.
Le piacevano le piazze, i piccoli centri chiusi al traffico dove si recuperavano e si mantenevano rapporti tra le persone. Molti avevano vissuto là intorno una vita intera e le occasioni di incontro erano frequenti. Amanda amava quel luogo: le dava un senso di appartenenza.
Ci aveva passato la vita da quando, ragazzina non ancora adolescente, era arrivata dal sud con la famiglia. La sera andava con sua mamma e le tre sorelle più piccole a mangiare pane e latte in una latteria scomparsa da tempo.
Erano stati anni duri, ma lei si sentiva privilegiata per averli vissuti e per essere quella che era diventata: una persona che stava vivendo un periodo bello della sua vita, almeno a lei sembrava tale.

Ogni giorno si concedeva del tempo passeggiando e pensando. I ricordi non facevano male, non più, neanche i più tristi.
Si sedette su una delle panchine laterali e continuò a guardarsi intorno: che bella piazza! Tranquilla e piena di vita al tempo stesso, tra il lago e il centro, circondata da un paesaggio incantevole, sembrava di essere in vacanza. “Siamo stati fortunati a vivere qui” si disse.
Era seduta lì il giorno in cui aveva deciso di lasciare il grande amore della sua vita. Non proprio su quella panchina, le avevano cambiate da allora, tuttavia nella stessa posizione. Era stato difficile: fino all’ultimo aveva temuto di non potercela fare a dirgli addio. Non riusciva a muoversi, parlare era stata una necessità per ritardare il momento del distacco:
“Devo andare… “
“Ti accompagno”.
“Fin dove?”
“Fin dove vuoi”.
“Non essere sempre così gentile, ti prego”.
“Scusami… ”.
Questo accadeva quasi mezzo secolo fa. Lei portava ancora dentro di sé l’intensità di quei momenti, anche se, con il tempo, le parole si erano sbiadite.
Avvertì un leggero rimpianto per qualche istante, prima di avviarsi verso casa. Nel pomeriggio sarebbe ritornata per prendere i bambini alla Scuola Materna, vicino al Campanile e, dopo il gelato, li avrebbe guardati giocare a bau-cetti mentre si rincorrevano tra le colonne dei portici.

Cappuccetto Rosso

La fiaba di Cappuccetto Rosso come la racconto ai miei nipotini

Cappuccetto Rosso saluta la mamma sorridendo. La casa della nonna non è distante dalla sua: solo cinque minuti di strada a piedi. Indossa la mantella rossa con il cappuccio che le ha cucito la mamma e, per questo, la chiamano Cappuccetto Rosso, ma il suo vero nome è Rossina. Quando è nata aveva un bel ciuffo di capelli rossi e Rossina sembrava proprio un bel nome per una testolina così colorata.
“Stai sul sentiero Rossina, non camminare nel bosco perché da lì non ti vedo”.
Le raccomanda la mamma, come sempre.
“Va bene, mamma, non ti preoccupare”.
Cappuccetto Rossina promette, ma a volte si dimentica, nel bosco ci sono tanti fiori belli e colorati, che può raccogliere per la mamma e per la nonna. E poi è diventata grande, da quest’anno va a scuola!
Quasi ogni giorno va a trovare la nonna, le porta un cesto con delle cose buone da mangiare. La nonna le insegna a fare i dolci, leggono tante storie e a volte pranzano o fanno merenda insieme, poi Cappuccetto Rossina torna a casa.
Oggi, mentre raccoglie fiori sul ciglio del sentiero, le si avvicina un lupacchiotto, ha un aspetto simpatico, si guarda intorno con aria timorosa, come uno che ha paura di essere sgridato. A Cappuccetto piace, le sembra un cucciolo come lei:
“Ciao, dove vai?”
“Mah, giravo un po’ intorno, per passare il tempo. E tu, che fai?”
“Io vado dalla mia nonna, oggi pranzo con lei”.
“Ah si? e che cosa mangiate?”
“La mamma mi ha preparato tante cose buone: la torta e anche una frittata con le uova delle nostre galline, senti come profuma…”
“Sì, mi viene l’acquolina in bocca, quasi svengo dalla fame a sentire l’odore…”
“Oh poverino, non hai ancora mangiato, oggi?”
“No, non mangio da ieri. Non trovo nulla”, risponde triste il lupotto.
“Mi dispiace, ma se non trovi nulla, qualcuno ti darà ben qualcosa?”, chiede Cappuccetto Rossina.
“No, nessuno mi dà niente, anzi, mi lanciano le pietre, quando mi avvicino”.
“Che cattivi! A te cosa piace mangiare?”
“Tutto! Io dovrei essere carnivoro, ma sono pronto a diventare onnivoro, pur di mandar giù qualcosa”.
“Magari ti piacerebbe una bella frittata!” esclama Cappuccetto Rosso.
E così dicendo prende la sua parte di frittata dal cestino e gliela dà, tutta contenta. Il lupotto se la mangia in un baleno: mai visto un lupo più felice di lui…
“Ma come ti chiami?”, le domanda, dopo.
“Rossina,  ma anche Cappuccetto Rosso, per via della mantella rossa con il cappuccio che mi ha cucito la mamma. E tu?”
“Io sono un lupo, non ho un nome. Se vuoi, puoi darmene uno tu”.
“Sì, mi piacerebbe. Tu mi sei simpatico. Chiederò alla nonna se qualche volta puoi venire a farci compagnia”.
“… e magari mangiare una frittata con voi.” aggiunge il lupacchiotto speranzoso.
“Ora devo andare. Vuoi fare un pezzo di strada con me?”.
“Molto volentieri”. risponde lui.
E si avviano verso la casa della nonna, chiacchierando.

Recensione a “Come le donne” di Tiziana Viganò

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Giovanna Rotondo Stuart

Un invisibile filo rosso lega le donne, descritte da Tiziana Viganò, a tutte le donne senza nome che trovano il coraggio di lottare per ricominciare a vivere, dopo anni di violenze fisiche e psicologiche. Donne schiave delle religioni o di convenzioni sociali a cui gli stessi uomini si piegano, spesso senza averne coscienza. Donne inespresse, travolte da un esistenza senza ruolo, che non sopportando più di essere considerate alla stregua di un mobile di casa o un’appendice della cucina, combattono la depressione, cercano l’indipendenza economica, imparano a chiedere aiuto per non soccombere. Non vogliono essere vittime, non vogliono vivere da vittime. Si ribellano: “Come un serpente che a primavera esce dalla sua vecchia pelle e si rinnova, anche loro escono dalla loro vecchia pelle e rinascono”, scrive Tiziana Viganò. Spinte da maltrattamenti indescrivibili. Fanciulle, sorelle, figlie, mogli e madri abusate e trascurate che hanno lottato e lottano per sopravvivere, come “Pelle Nera”, venduta al suo futuro marito, ragazzina adolescente, per ben trenta mucche, che a vent’anni, dopo tre figli, riesce a fuggire da un ambiente ostile e a rinascere. E non una volta sola: sempre, quando incontra delle difficoltà, per grandi che siano, trova la forza e la determinazione necessarie per rialzarsi e cambiare vita, proprio come il il serpente cambia la sua pelle.
Tiziana Viganò ha potuto raccontare la storia di alcune fortunate che hanno trovato il loro riscatto, per tante di loro nelle stesse condizioni, spesso fanciulle, poco più che bambine, vittime di un mondo o di circostanze crudeli, dobbiamo raccontarla noi la storia e portare nei nostri cuori le loro vite negate. Non possiamo e non vogliamo abbandonare tutte quelle che necessitano il nostro aiuto, con il nostro lavoro, la nostra testimonianza dobbiamo prodigarci affinché la parità di genere diventi presto un elemento acquisito nell’esistenza di tutte le donne del mondo, svantaggiate e discriminate che sono la maggior parte.
Oggi possiamo dire che non solo le donne hanno tanto cervello quanto gli uomini, ma sono in grado di gestire le situazioni di stress meglio degli uomini e che “il loro cervello”, a detta del Prof Paolo Pancheri, psichiatra, e come ha evidenziato la Pet (tomografia ad emissione di positroni) “è più raffinato, più sofisticato di quello maschile, più completo. Le donne sono più intuitive dell’uomo grazie a una maggior connessione tra i due emisferi del cervello”.
E hanno dimostrato di possedere grandi risorse, queste madri, figlie, sorelle, mogli, amiche e anche colleghe di lavoro, che scopriamo essere competenti e professionali.
Sono le donne a farsi carico dei problemi familiari e sono inesauribili, come inesauribile è il loro desiderio di scoprire, di fare, di imparare. Difficilmente si mettono in poltrona, basta uscire di casa di giorno, di sera: andare a teatro, al cinema, in palestra, a fare un viaggio, per vederle. Tante donne indomite che sfidano e rischiano di subire atti di violenza, ma rivendicano il loro diritto di essere e sentirsi libere, non solo sul lavoro o in famiglia, ma in tutte le azioni quotidiane.