Giuseppe Pellizza da Volpedo

di Giovanna Rotondo Stuart

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Autoritratto, 1888, olio su tela, cm160,55×110,5 Galleria degli Uffizi, Firenze

Giuseppe Pellizza nasce a Volpedo, un piccolo centro della campagna alessandrina, nel 1868. Di famiglia contadina benestante si sente molto legato alla sua terra al punto che, dal 1892, firmerà i suoi dipinti aggiungendo al suo cognome il nome del paese che l’ha visto nascere e diviene: Pellizza da Volpedo. Volpedo è Il paese che ama e che lo vedrà testimone di tante lotte sociali insieme ai contadini del luogo. Ed è a Volpedo che pensa e crea quel meraviglioso documento di pittura sociale che è “Il quarto Stato”, mostrando un’umanità povera e affamata che lotta per la sopravvivenza.
Le prime esperienze scolastiche di Pellizza da Volpedo avvengono all’Istituto tecnico di Castelnuovo Scrivia, tuttavia il bisogno artistico del ragazzo porta il padre a cercare per lui altre strade, tramite il suo lavoro viene in contatto con i De Grubicy, pittori, mercanti e intenditori d’Arte che consiglieranno Pietro Pellizza di iscrivere il figlio all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano. In attesa di essere ammesso all’Accademia, nel novembre del 1883, a soli 15 anni, Giuseppe diventa allievo del pittore naturalista Giuseppe Puricelli, per apprendere la tecnica della pittura a olio. A gennaio del 1884 inizierà a frequentare  Brera dove troverà insegnanti illustri come Francesco Hayez, uno dei grandi pittori romantici dell’Ottocento, autore di uno dei più controversi dipinti dell’epoca “Il bacio”, e il pittore verista Giuseppe Bertini, che sarà, dopo Hayez, direttore dell’Accademia. Ed è a Brera che nel 1885 avviene la prima esposizione di Pellizza, con il dipinto “Allo specchio”.
Dallo studio del maestro Puricelli, Pellizza si trasferirà a quello del pittore verista  Pio Sanquirico, dove continuerà a studiare privatamente, esercitandosi a dipingere la figura umana dal vero.

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La piazza di Volpedo, 1888, olio su tela, cm78x96, Collezione privata

Nel 1887, terminata l’Accademia di Brera, va a Roma per proseguire gli studi, ma Roma non gli è congeniale e dopo un breve periodo si sposta a Firenze, iscrivendosi all’Accademia di Belle Arti dove studia con il maestro Giovanni Fattori, ha la fortuna di conoscere Silvestro Lega e Telemaco Signorini, pittori macchiaioli, apprende la costruzione dello spazio per macchie di colore come d’uso nella tradizione macchiaiola. Diventa amico di Plinio Nomellini, suo compagno di corso, il pittore ligure che ritroverà poi a Genova e che lo spingerà a sperimentare la pittura divisionista.
Alla fine dell’esperienza fiorentina ritorna a Volpedo per un periodo di riflessione e di studio. Dipinge “La piazza di Volpedo”, “Il ricordo di un dolore”, studia per la composizione de “Il quarto stato”.

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La preghiera al cimitero, 1887, olio su tela, cm138x72,5, Studio Museo, Volpedo

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Ricordo di un dolore o Santina Negri, 1889, olio su tela, cm107x79, Accademia Carrara, Bergamo

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Mele e uva, 1889/90, olio su tela, cm25x34,3, Beni culturali, Lombardia

Ma Giuseppe Pellizza ritiene che la sua preparazione artistica non sia completa e, nel 1889/90, s’iscrive ai corsi di Cesare Tallone, grande ritrattista, presso l’Accademia Carrara di Bergamo. Frequenterà anche un breve corso di pittura paesaggistica all’Accademia Linguistica di Genova, dove rivede Plinio Nomellini.
A dicembre dello stesso anno si recherà a Parigi per visitare L’Esposizione Universale. Ma dovrà tornare a casa per la morte di sua sorella.
Dopo questo intenso periodo di lavoro e ricerca, decide di stabilirsi definitivamente a Volpedo, dove avvia la costruzione del suo studio, nel retro della casa di famiglia. Tuttavia il suo bisogno di conoscenza e la carenza di studi umanistici nella sua formazione lo porteranno a Firenze a studiare Filosofia, Letteratura, Estetica, qualche anno dopo.
Nel 1892 sposerà Teresa Bidone, che sarà sua modella, insieme ad altri abitanti di Volpedo, per i dipinti “La Fiumana” e “Il Quarto Stato”.
E nasce Pellizza da Volpedo!
Incomincia a esporre i suoi dipinti in varie mostre nazionali e internazionali, facendosi conoscere e apprezzare dal pubblico e dalla critica. Va e viene da Firenze, Roma, Parigi, Torino, per motivi di studio e di lavoro. Frequenta Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Plinio Nomellini, Emilio Longoni, Il gruppo del divisionismo. E la sua pittura si modifica, si evolve, abbandona qualsiasi traccia di accademicità, per trovare uno stile libero e personale che va dall’impressionismo al divisionismo, al simbolismo.

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Mammine, 1892, olio su tela, cm213x203, Collezione Privata

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studio per Mammine, matita

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Sul fienile, 1893, olio su tela, cm133x243,5 collezione privata

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Panni al sole, 1894, olio su tela, cm 87×131 collezione privata

All’esposizione italo americana di Genova, nel 1892, vince la medaglia d’oro con il dipinto “Mammine”, un’opera tenera, vivida nel colore, dove le sorelle più grandi fanno da mamme ai più piccini. Ottiene un grande successo alla Triennale di Milano del 1894 con “Speranze deluse” e “Sul fienile”, le sue prime opere divisioniste. Nel 1900 espone a Parigi, all’Esposizione Internazionale, il bellissimo dipinto simbolista “Specchio della vita”, un’opera delicata e bucolica, in cui l’artista medita il comportamento delle creature e il loro bisogno di aggregarsi. A Monaco di Baviera, nel 1901, gli viene attribuita la medaglia d’oro per il dipinto “Sul fienile” e l’anno dopo partecipa alla Quadriennale di Torino con l’opera “Il quarto stato”. Un’opera in cui crede e per cui ha studiato e lavorato molti anni: il sogno di un’umanità che avanza alla conquista di un futuro migliore. E’ il tempo in cui lo stesso papa Leone XIII pubblica la lettera Enciclica “De Rerum Novarum” — Delle Cose Nuove — e invita il padronato a una maggiore attenzione verso le classi subalterne stremate dalla povertà e sfruttate da una classe padronale sempre più ricca e desiderosa di arricchirsi. Un’opera che non sarà accolta bene e susciterà molte polemiche per il suo contenuto sociale. Amareggiato da queste incomprensioni, Pellizza interrompe i contatti con alcuni intellettuali e artisti dell’epoca con cui aveva intrattenuto scambi epistolari fino a quel momento. In seguito “Il quarto stato” sarà identificato con le lotte di rivendicazione salariale e diventerà uno dei dipinti più famosi del XX secolo. Negli anni a venire Pellizza da Volpedo dipingerà scene di paesaggio e vita quotidiana, diventerà un pittore affermato e inizierà a vendere bene le sue opere: nel 1906, la Casa reale acquisterà il suo “Lo specchio della Vita” per La Galleria d’Arte Moderna di Torino e il ministero della Pubblica Istruzione il dipinto “Il sole” per la Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma. Un periodo bello della sua vita, sereno, come scriverà in alcune delle sue lettere. Tuttavia, l’anno dopo, nel 1907, muore la sua amatissima moglie Teresa – e il figlioletto –  per complicazioni post-partum e Pellizza, a soli 39 anni,  decide di morire anche lui.

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Speranze deluse, 1894, olio su tela, cm110x70 collezione privata

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Speranze deluse, particolare del corteo nuziale

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La processione, 1895, olio su tela, cm84x155, Museo della Scienza e della Tecnica, Milano

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Lo specchio della vita (E ciò che l’una fa e l’altre fanno), 1898, olio su tela, cm132x291, Galleria d’Arte Moderna, Torino

“Ogni età ha un’arte speciale: l’artista deve studiare la società in cui vive e capire l’arte che gli è data” Pellizza da Volpedo

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Il quarto stato, 1901, olio su tela, museo del Novecento, Milano

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Giuseppe Pellizza nasce in un contesto di grande cambiamento, suo padre Pietro, uno dei fondatori di Società Operaia nell’alessandrino, è molto impegnato in politica e nel sociale; Pellizza è cosciente di quanto avviene intorno a lui, partecipa e sente di dover interpretare quel cambiamento con la sua arte.

Pellizza da Volpedo non si è limitato ad usare il suo talento in modo ripetitivo, ha lavorato e studiato con impegno: una lunga evoluzione che lo ha portato dalla pittura verista al divisionismo, al simbolismo; la sua non è solo una pittura di denuncia sociale, come potrebbero far pensare i suoi dipinti e disegni sulla lotta di classe, ma una pittura che studia la natura ed è attenta ai sentimenti delle persone. Osservando il suo autoritratto si nota la gentilezza della sua espressione, un’espressione mite, composta ed essenziale. Tratti che si ritrovano nelle sue opere e in cui è evidente l’amore per la natura, l’attenzione alla sofferenza, basta osservare la tenerezza di “Mammine”, dove un gruppo di ragazzine più grandi si prende cura dei bimbi più piccoli o in Ricordo di un dolore o “L’amore nella vita” per citare le parole del titolo di un pentittico, un’opera che Pellizza non ha mai completato. E sono poetiche  le sue opere  sull’amore e sulle stagioni, dipinte in un tondo, un simbolo anche questo di tutto e di niente, dell’infinito.

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Idillio di Primavera, 1896, olio su tela, diametro cm 99,5 Collezione privata

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L’amore nella vita, 1901/04, olio su tela, d. cm 104 Galleria d’Arte Moderna, Torino

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Passeggiata amorosa, 1901/o2, olio su tela d. cm 100, Pinacoteca civica Ascoli Piceno

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Il sole o Il sole nascente, 1904, olio su tela, cm 155×155, Galleria d’Arte Moderna, Roma

L’opera  di Pellizza  va oltre i confini di uguaglianza e giustizia sociale, esplora la vita e tutto ciò che lo circonda: la bellezza del paesaggio e della campagna  che ama, i sentimenti, la solitudine. Dipinge la realtà e vi associa allegorie e simboli. La morte di Giovanni Segantini, al quale è legato da profondo affetto e ammirazione, gli causerà grande sofferenza, al punto che sentirà il bisogno di andare in Engadina, quasi in pellegrinaggio, a ritrovare se stesso e l’amico perduto. Molto diversi tra loro per retroterra culturale, questi due grandi pittori del divisionismo italiano sono accomunati da una stessa visione della vita e da intensa spiritualità. L’amore per la pittura, la ricerca dello spazio, lo studio della luce attraverso la divisione del colore fanno parte della loro esistenza. Lo si può scoprire osservando i loro  dipinti.

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Membra stanche, o famiglie di emigranti, 1906, olio su tela, cm 127×164 collezione privata

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La neve, 1906, olio su tela, cm 94×94 collezione privata

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Il tran.tran Volpedo -Voghera, 1903, gessi, inchiostro e pastelli, cm 96×154,5

L’intero paese di Volpedo è testimone della bellezza della pittura di Pellizza, il suo studio è diventato una Casa Museo, le sue opere sono ben tracciate e segnalate. Interessante è la collezione della Fondazione della Cassa di Risparmio di Tortona.

Giovanni Segantini

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Il ritorno a Milano

Milano è la città in cui avviene la formazione artistica di Giovanni Segantini e che rimane il suo punto di riferimento per tutta la vita, il centro del mondo e il luogo che predilige per esporre le sue opere. E la città lo ricambia accogliendolo tra i suoi artisti più apprezzati e amati. La bellissima mostra di Giovanni Segantini, realizzata a Palazzo Reale dal Comune di Milano, Assessorato alla Cultura, in collaborazione con la Fondazione Mazzotta e Skira Editore, si protrarrà fino al 18 Gennaio 2015. E sono bellissimi i 120 dipinti e disegni in mostra provenienti dai più importanti musei del mondo, alcuni mai esposti in Italia. Un uomo, Segantini, di cui si intuisce la grandezza d’animo e il talento guardando le sue opere e leggendo la storia della sua vita e… non si può non amarlo!

L’esposizione è divisa in otto sezioni a tema con una parte introduttiva che raccoglie documenti, lettere, fotografie e altre opere che lo rappresentano. Colpisce un acquarello di Giovanni Giacometti che raffigura il pittore sul letto di morte (avvenuta nel 1899, a soli 41 anni). Nella parte preliminare sono anche esposti tutti o quasi gli autoritratti di Segantini dall’età di vent’anni. La prima sezione, “Gli esordi”, è dedicata a Milano. Si possono ammirare paesaggi dei Navigli con la neve e immagini della città. Nella seconda sezione: “Allo specchio. Dal ritratto al simbolo”, troviamo ritratti della borghesia milanese e della famiglia dell’artista. Nella terza parte, “Il vero ripensato: la natura morta”, si nota una splendida “Anatra appesa”, tutta giocata su sfumature bianche, una bella “Azalea” e fiori molto decorativi, le nature morte dalle composizioni interessanti, probabilmente richieste dalla borghesia del tempo, sono seguite con grande maestria da Segantini. La quarta e la quinta sezione “Natura e vita dei campi” e “Natura e simbolo” raccontano la vita e la fatica degli umili: Segantini, come Van Gogh, s’ispira al verismo di Jean Francois Millet, il pittore naturalista francese. Nella quarta sezione troviamo anche “il disegno dal dipinto”: disegni da dipinti già realizzati in cui Segantini dimostra di avere capacità stilistiche eccezionali. La sesta sezione è dedicata a “Fonti letterarie e illustrazioni” e la settima al “Trittico dell’Engadina” o “Trittico delle Alpi” composto da tre tele di grandi dimensioni, non presenti alla mostra a causa della loro fragilità, ma con possibilità di vederne i filmati. Infine, l’ultima parte, “La maternità” divisionista e simbolista dove sono esposti i capolavori “Le due madri” nelle due versioni: la composizione dell’1889, considerata la prima opera del divisionismo italiano alla Triennale di Brera, e quella del 1899, uno dei suoi ultimi dipinti. E’ interessante osservare, nel filmato “Le cattive Madri” (l’opera non e’ presente), come Segantini raffiguri con simbolismo allegorico molto nordico la sua visione di cattiva madre. Una mostra che commuove per la spiritualità che trasmette e si avverte, a causa della prematura scomparsa dell’artista, la privazione e il rimpianto per quell’Arte da lui mai dipinta. La sorte gli è stata avversa e amica al tempo stesso premiandolo, con grande successo, già nei primi passi della sua vita di artista, quasi a compensarlo degli anni terribili della sua fanciullezza di orfano e bambino abbandonato. Segantini a dodici anni viene rinchiuso in un riformatorio, il Marchiondi, con l’accusa di vagabondaggio: è solo e derelitto dall’età di sette anni e cioè dall’anno della morte della madre avvenuta ad Arco di Trento nel 1865. In quell’anno il padre lo manda a Milano, affidandolo alla sorellastra Irene che si guadagna da vivere come modista, lavorando dall’alba al tramonto e il bambino rimane solo tutto il giorno. Sarà l’altro fratellastro, Napoleone, che a gennaio del 1873 andrà a prenderlo al riformatorio e lo porterà a lavorare con sé, come apprendista, nel suo laboratorio di fotografia in Trentino, a Borgo Valsugana, dove rimane un paio d’anni. Torna a Milano e s’iscrive ai corsi serali dell’accademia di Brera, in seguito frequenterà i corsi regolari. Riesce a mantenersi agli studi lavorando come decoratore e insegnando disegno. Studia a Brera per diversi anni; ed è proprio a Brera che riceve i primi riconoscimenti per le sue opere. Il 1879 si può definire l’anno della svolta per Segantini, il suo dipinto, “Il coro di Sant’Antonio”, viene notato dalla critica all’Esposizione Nazionale di Brera e sarà acquistato dalla Società per le Belle Arti di Milano.

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Il coro della chiesa di Sant’Antonio, 1879

A Brera, Segantini frequenta artisti che molto conteranno nella sua vita, tra cui: Emilio Longoni, Carlo Bugatti e Vittore Gubricy de Dragon, quest’ultimo, gallerista e critico d’Arte, oltre che pittore, lo introdurrà nel mondo della borghesia milanese. E incontra Bice Bugatti, sorella di Carlo, che diventerà la compagna della sua vita e la madre dei suoi quattro figli.

Dopo la nascita del primo figlio, nel 1882, l’artista si sposta, con tutta la famiglia da Milano a Eupilio, nell’alta Brianza, dove dipinge la prima versione di “Ave Maria a trasbordo”, poi andata distrutta e per cui ebbe il primo riconoscimento, una medaglia d’oro all’Esposizione Internazionale di Amsterdam. E un’altra medaglia d’oro riceverà ad Anversa, nel 1886, per “La tosatura delle pecore”. Con la grande composizione “Alla Stanga”, dipinto esposto alla Permanete di Milano, ottiene un’altra medaglia d’oro ad Amsterdam. Il quadro viene acquistato dallo Stato italiano per la Galleria d’Arte Moderna di Roma, dove si trova tutt’ora. Diviene ben presto un pittore affermato e di successo; la vendita delle sue opere consentirebbe a lui e alla sua famiglia un buon tenore di vita, se  il suo rapporto con il denaro fosse più oculato.

La mia famiglia, 1882

La mia famiglia, 1882

Uno di più, disegno 1886/88

Uno di più, disegno 1886/88

Nel 1886 Segantini dipingerà la seconda versione di “Ave Maria a trasbordo”, un dipinto di grande luminosità che, pur con qualche riserva, può essere considerato la prima opera divisionista. Ci sono diversi disegni di quest’opera: è interessante notare la differenza di stile tra le due Ave Marie, quella a trasbordo e quella sui monti. Di stile divisionista il bel disegno di Ave Maria sui monti.

La Scapigliatura  

Intorno al 1860 nasce a Milano “La Scapigliatura”: un movimento artistico e letterario animato da spirito di ribellione che vuole esprimersi senza i vincoli, gli schemi e le regole della cultura tradizionale. Il termine “Scapigliatura” e “Scapigliati” è una libera interpretazione della vita di “bohème”, o “vita da zingari”, e si ispira all’esistenza anticonformista e disordinata degli artisti parigini. Il movimento è animato da personaggi come Antonio Ghislanzoni, Arrigo Boito, Tranquillo Cremona, Mosè Bianchi, Carlo Dossi, Amilcare Ponchielli e molti altri.

Divisionismo e Simbolismo

Il divisionismo si diffonde in Italia verso la fine dell’800, soprattutto a Milano, una corrente antiaccademica al seguito della Scapigliatura Lombarda. Si può associare, per certi versi, al puntinismo francese, ma meno scientifico e tecnico come stile. il puntinismo continua lo studio sulla luce secondo il metodo impressionista, cercando, con la scomposizione del colore, di ottenere la massima luminosità rifacendosi alle scoperte scientifiche del tempo, in cui era la retina dell’occhio a ricomporre il colore. Il divisionismo si esprime con piccole pennellate di colore puro, tese a catturare la luce, e, a differenza del più sofisticato puntinismo, è uno stile naturalista e dipinge soprattutto la bellezza della natura, con evidenti riferimenti alla pittura di Francois Millet. La natura e il paesaggio sono fonti di grande ispirazione per Segantini: ama lo spazio, studia la luce, la dipinge. Ama l’incanto delle montagne, dei laghi, la vita dei semplici, le stalle, gli animali… la sua famglia.

Le due madri, 1889

Le due madri, 1889

Le due madri, 1899

Le due madri, 1899

Con il definitivo trasferimento in Svizzera nel 1886, in un ambiente solitario e incontaminato, il profondo misticismo dell’artista si manifesta in composizioni di grande respiro in cui spiritualità, vastità e armonia si fondono diventando simboli. Un Simbolismo molto personale quello di Segantini; i simboli della sua vita diventeranno, nel suo percorso artistico, i simboli della sua pittura e lui vi esprimerà tutto ciò in cui crede: la purezza, la vita, la maternità, la morte… l’ umanità! Lo si sente nelle magnifiche composizioni del Trittico delle Alpi che possono essere considerate il testamento artistico e spirituale di questo grande pittore: La Vita, La Natura e La Morte in mostra permanente al Museo Segantini di St. Moritz; notevoli sono i bozzetti e i disegni esposti che fanno parte della preparazione dell’opera.

L’ora mesta, 1892

L’ora mesta, 1892

Sul Balcone, 1892

Sul Balcone, 1892

Trittico delle Alpi

E’ un’opera grandiosa delle montagne che Segantini ama e che l’hanno visto nascere ad Arco, in provincia di Trento,  e morire a Pontresina, in alta Engadina. Il Trittico viene iniziato nel 1897 e rimane incompiuta per la morte del pittore. Avrebbe dovuto rappresentare l’Engadina all’esposizione di Parigi del 1900.

La vita

La vita

La natura

La natura

La morte

La morte

Questa breve rassegna sul grande pittore può terminare con una considerazione: Segantini, a dodici anni, quando viene rinchiuso al riformatorio Marchiondi, è analfabeta. Riesce, in quel periodo, a imparare a leggere e scrivere, pur se con qualche piccola lacuna ortografica, e potrà comunicare i suoi pensieri con intelligenza e sensibilità. Di seguito alcune sue riflessioni all’amico Vittore, così come lui le ha scritte:

[…] ultimamente studiai l’umane forme piú precisamente nelle loro belleza come feci colle pecore, i cavalli, le vacche, e tutti gli altri animali; cosí passai dalla pianura ai colli da questi ai monti fino alle cime senza altra peoccupazione che di rendere nelle cose quella passione affascinante che mi determinò a concederle tutto il mio amore. così d’amore, in amore, passai dall’espresione delle belle forme per le forme, alla bella colorazione in se, e per la conoscienza della luce, e per la conoscinza del colore nella sua bellezza armoniosa e per la conoscenza delle belle forme e delle belle linee e per quella dei bei sentimenti, e per la conoscenza di tutte queste bellezze in sieme, credo di poter comporre il mio pensiero verso la bellezza suprema, creando liberamente quello che lo spirito mi detta. (da Lettera a Vittore Grubicy de Dragon da Maloja del 17 IV 98, p. 74)

“Il godimento della vita sta nel sapere amare, nel fondo dogni opera buona c’è l’amore”. (da Lettera a Vittore Grubicy de Dragon, [Savognino, 4 gennnaio 1890], p. 32) “.

I dipinti, se non altrimenti specificato, sono a olio su tela.

Giovanna Rotondo Stuart

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