Madonna di Orlando Sora

Un capolavoro di Orlando Sora, questa splendida Madonna con bambino dai toni caldi, soffusi, tonalità che trasmettono tenerezza e sensualità. La Madonna è impersonata dalla moglie Matelda, il bambino dalla secondogenita Anna, Vanna la figlia maggiore guarda la madre e la sorella con una sfumatura di sorriso. Dovrebbe essere un’opera del 1935 circa. Sora ha dipinto molto con la sua famiglia negli Anni Trenta, ci sono dipinti di quel periodo raffiguranti Madonne con bimbi, ma è la prima volta che vedo una Madonna con bambino e una terza figura presente nel dipinto. Inizialmente ho pensato potesse essere un angelo, poi, per una serie di considerazioni, ho optato per la seconda soluzione, più tipica di Sora, e cioè che fossero le sue due figlie insieme alla mamma. A Villa Manzoni, nell’ala a lui dedicata, si possono ammirare alcuni suoi dipinti di quegli anni, tra cui “La mia famiglia” una composizione del 1933, dove sono presenti anche i genitori dell’artista, e un ritratto di Vanna più grandicella, “La figlia del pittore”, del 1937. Evoluzione e continuità di stile sono una costante della pittura di Orlando Sora.

Natività di Andrej Rublëv

L’icona della Natività di Andrej Rublëv, il grande pittore – monaco del Medioevo Russo è, come sempre nelle sue opere , un trattato di teologia: una montagna occupa la scena, al centro della montagna si apre la caverna dove il Bambino, solo, coricato nelle tenebre è “la luce splende nelle tenebre” (Gv 1,5).
Fuori della grotta la Madonna distesa su di un manto rosso fuoco, simbolo del sangue ma anche dell’amore divino, in basso San Giuseppe che esita nel dubbio e di fronte a lui la tentazione del rifiuto si materializza nella figura del pastore- diavolo coperto di pelli .
I Magi, gli animali, gli alberi esprimono la meraviglia sbigottita di tutto il creato nel momento prodigioso della Natività. Infatti come scrive il teologo – martire Pavel Florensky “Quando il Dio-Bambino, che nelle sue Manine teneva il Mondo intero, le protese compassionevole alla Madre, terra e cielo si fermarono in somma venerazione. Quando colui che era venuto a scaldare con il suo amore tutte le creature assiderate dal freddo della morte si scaldava al fiato del bue e dell’asino legati nella stalla, anche gli alberi vegliavano.”

Un amico mi ha inviato questa meraviglia… Buon Anno! Giovanna

Giuseppe Pellizza da Volpedo

di Giovanna Rotondo Stuart

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Autoritratto, 1888, olio su tela, cm160,55×110,5 Galleria degli Uffizi, Firenze

Giuseppe Pellizza nasce a Volpedo, un piccolo centro della campagna alessandrina, nel 1868. Di famiglia contadina benestante si sente molto legato alla sua terra al punto che, dal 1892, firmerà i suoi dipinti aggiungendo al suo cognome il nome del paese che l’ha visto nascere e diviene: Pellizza da Volpedo. Volpedo è Il paese che ama e che lo vedrà testimone di tante lotte sociali insieme ai contadini del luogo. Ed è a Volpedo che pensa e crea quel meraviglioso documento di pittura sociale che è “Il quarto Stato”, mostrando un’umanità povera e affamata che lotta per la sopravvivenza.
Le prime esperienze scolastiche di Pellizza da Volpedo avvengono all’Istituto tecnico di Castelnuovo Scrivia, tuttavia il bisogno artistico del ragazzo porta il padre a cercare per lui altre strade, tramite il suo lavoro viene in contatto con i De Grubicy, pittori, mercanti e intenditori d’Arte che consiglieranno Pietro Pellizza di iscrivere il figlio all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano. In attesa di essere ammesso all’Accademia, nel novembre del 1883, a soli 15 anni, Giuseppe diventa allievo del pittore naturalista Giuseppe Puricelli, per apprendere la tecnica della pittura a olio. A gennaio del 1884 inizierà a frequentare  Brera dove troverà insegnanti illustri come Francesco Hayez, uno dei grandi pittori romantici dell’Ottocento, autore di uno dei più controversi dipinti dell’epoca “Il bacio”, e il pittore verista Giuseppe Bertini, che sarà, dopo Hayez, direttore dell’Accademia. Ed è a Brera che nel 1885 avviene la prima esposizione di Pellizza, con il dipinto “Allo specchio”.
Dallo studio del maestro Puricelli, Pellizza si trasferirà a quello del pittore verista  Pio Sanquirico, dove continuerà a studiare privatamente, esercitandosi a dipingere la figura umana dal vero.

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La piazza di Volpedo, 1888, olio su tela, cm78x96, Collezione privata

Nel 1887, terminata l’Accademia di Brera, va a Roma per proseguire gli studi, ma Roma non gli è congeniale e dopo un breve periodo si sposta a Firenze, iscrivendosi all’Accademia di Belle Arti dove studia con il maestro Giovanni Fattori, ha la fortuna di conoscere Silvestro Lega e Telemaco Signorini, pittori macchiaioli, apprende la costruzione dello spazio per macchie di colore come d’uso nella tradizione macchiaiola. Diventa amico di Plinio Nomellini, suo compagno di corso, il pittore ligure che ritroverà poi a Genova e che lo spingerà a sperimentare la pittura divisionista.
Alla fine dell’esperienza fiorentina ritorna a Volpedo per un periodo di riflessione e di studio. Dipinge “La piazza di Volpedo”, “Il ricordo di un dolore”, studia per la composizione de “Il quarto stato”.

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La preghiera al cimitero, 1887, olio su tela, cm138x72,5, Studio Museo, Volpedo

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Ricordo di un dolore o Santina Negri, 1889, olio su tela, cm107x79, Accademia Carrara, Bergamo

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Mele e uva, 1889/90, olio su tela, cm25x34,3, Beni culturali, Lombardia

Ma Giuseppe Pellizza ritiene che la sua preparazione artistica non sia completa e, nel 1889/90, s’iscrive ai corsi di Cesare Tallone, grande ritrattista, presso l’Accademia Carrara di Bergamo. Frequenterà anche un breve corso di pittura paesaggistica all’Accademia Linguistica di Genova, dove rivede Plinio Nomellini.
A dicembre dello stesso anno si recherà a Parigi per visitare L’Esposizione Universale. Ma dovrà tornare a casa per la morte di sua sorella.
Dopo questo intenso periodo di lavoro e ricerca, decide di stabilirsi definitivamente a Volpedo, dove avvia la costruzione del suo studio, nel retro della casa di famiglia. Tuttavia il suo bisogno di conoscenza e la carenza di studi umanistici nella sua formazione lo porteranno a Firenze a studiare Filosofia, Letteratura, Estetica, qualche anno dopo.
Nel 1892 sposerà Teresa Bidone, che sarà sua modella, insieme ad altri abitanti di Volpedo, per i dipinti “La Fiumana” e “Il Quarto Stato”.
E nasce Pellizza da Volpedo!
Incomincia a esporre i suoi dipinti in varie mostre nazionali e internazionali, facendosi conoscere e apprezzare dal pubblico e dalla critica. Va e viene da Firenze, Roma, Parigi, Torino, per motivi di studio e di lavoro. Frequenta Giovanni Segantini, Angelo Morbelli, Plinio Nomellini, Emilio Longoni, Il gruppo del divisionismo. E la sua pittura si modifica, si evolve, abbandona qualsiasi traccia di accademicità, per trovare uno stile libero e personale che va dall’impressionismo al divisionismo, al simbolismo.

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Mammine, 1892, olio su tela, cm213x203, Collezione Privata

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Sul fienile, 1893, olio su tela, cm133x243,5 collezione privata

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Panni al sole, 1894, olio su tela, cm 87×131 collezione privata

All’esposizione italo americana di Genova, nel 1892, vince la medaglia d’oro con il dipinto “Mammine”, un’opera tenera, vivida nel colore, dove le sorelle più grandi fanno da mamme ai più piccini. Ottiene un grande successo alla Triennale di Milano del 1894 con “Speranze deluse” e “Sul fienile”, le sue prime opere divisioniste. Nel 1900 espone a Parigi, all’Esposizione Internazionale, il bellissimo dipinto simbolista “Specchio della vita”, un’opera delicata e bucolica, in cui l’artista medita il comportamento delle creature e il loro bisogno di aggregarsi. A Monaco di Baviera, nel 1901, gli viene attribuita la medaglia d’oro per il dipinto “Sul fienile” e l’anno dopo partecipa alla Quadriennale di Torino con l’opera “Il quarto stato”. Un’opera in cui crede e per cui ha studiato e lavorato molti anni: il sogno di un’umanità che avanza alla conquista di un futuro migliore. E’ il tempo in cui lo stesso papa Leone XIII pubblica la lettera Enciclica “De Rerum Novarum” — Delle Cose Nuove — e invita il padronato a una maggiore attenzione verso le classi subalterne stremate dalla povertà e sfruttate da una classe padronale sempre più ricca e desiderosa di arricchirsi. Un’opera che non sarà accolta bene e susciterà molte polemiche per il suo contenuto sociale. Amareggiato da queste incomprensioni, Pellizza interrompe i contatti con alcuni intellettuali e artisti dell’epoca con cui aveva intrattenuto scambi epistolari fino a quel momento. In seguito “Il quarto stato” sarà identificato con le lotte di rivendicazione salariale e diventerà uno dei dipinti più famosi del XX secolo. Negli anni a venire Pellizza da Volpedo dipingerà scene di paesaggio e vita quotidiana, diventerà un pittore affermato e inizierà a vendere bene le sue opere: nel 1906, la Casa reale acquisterà il suo “Lo specchio della Vita” per La Galleria d’Arte Moderna di Torino e il ministero della Pubblica Istruzione il dipinto “Il sole” per la Galleria Nazionale d’Arte moderna di Roma. Un periodo bello della sua vita, sereno, come scriverà in alcune delle sue lettere. Tuttavia, l’anno dopo, nel 1907, muore la sua amatissima moglie Teresa – e il figlioletto –  per complicazioni post-partum e Pellizza, a soli 39 anni,  decide di morire anche lui.

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Speranze deluse, 1894, olio su tela, cm110x70 collezione privata

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Speranze deluse, particolare del corteo nuziale

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La processione, 1895, olio su tela, cm84x155, Museo della Scienza e della Tecnica, Milano

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Lo specchio della vita (E ciò che l’una fa e l’altre fanno), 1898, olio su tela, cm132x291, Galleria d’Arte Moderna, Torino

“Ogni età ha un’arte speciale: l’artista deve studiare la società in cui vive e capire l’arte che gli è data” Pellizza da Volpedo

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Il quarto stato, 1901, olio su tela, museo del Novecento, Milano

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Giuseppe Pellizza nasce in un contesto di grande cambiamento, suo padre Pietro, uno dei fondatori di Società Operaia nell’alessandrino, è molto impegnato in politica e nel sociale; Pellizza è cosciente di quanto avviene intorno a lui, partecipa e sente di dover interpretare quel cambiamento con la sua arte.

Pellizza da Volpedo non si è limitato ad usare il suo talento in modo ripetitivo, ha lavorato e studiato con impegno: una lunga evoluzione che lo ha portato dalla pittura verista al divisionismo, al simbolismo; la sua non è solo una pittura di denuncia sociale, come potrebbero far pensare i suoi dipinti e disegni sulla lotta di classe, ma una pittura che studia la natura ed è attenta ai sentimenti delle persone. Osservando il suo autoritratto si nota la gentilezza della sua espressione, un’espressione mite, composta ed essenziale. Tratti che si ritrovano nelle sue opere e in cui è evidente l’amore per la natura, l’attenzione alla sofferenza, basta osservare la tenerezza di “Mammine”, dove un gruppo di ragazzine più grandi si prende cura dei bimbi più piccoli o in Ricordo di un dolore o “L’amore nella vita” per citare le parole del titolo di un pentittico, un’opera che Pellizza non ha mai completato. E sono poetiche  le sue opere  sull’amore e sulle stagioni, dipinte in un tondo, un simbolo anche questo di tutto e di niente, dell’infinito.

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Idillio di Primavera, 1896, olio su tela, diametro cm 99,5 Collezione privata

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L’amore nella vita, 1901/04, olio su tela, d. cm 104 Galleria d’Arte Moderna, Torino

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Passeggiata amorosa, 1901/o2, olio su tela d. cm 100, Pinacoteca civica Ascoli Piceno

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Il sole o Il sole nascente, 1904, olio su tela, cm 155×155, Galleria d’Arte Moderna, Roma

L’opera  di Pellizza  va oltre i confini di uguaglianza e giustizia sociale, esplora la vita e tutto ciò che lo circonda: la bellezza del paesaggio e della campagna  che ama, i sentimenti, la solitudine. Dipinge la realtà e vi associa allegorie e simboli. La morte di Giovanni Segantini, al quale è legato da profondo affetto e ammirazione, gli causerà grande sofferenza, al punto che sentirà il bisogno di andare in Engadina, quasi in pellegrinaggio, a ritrovare se stesso e l’amico perduto. Molto diversi tra loro per retroterra culturale, questi due grandi pittori del divisionismo italiano sono accomunati da una stessa visione della vita e da intensa spiritualità. L’amore per la pittura, la ricerca dello spazio, lo studio della luce attraverso la divisione del colore fanno parte della loro esistenza. Lo si può scoprire osservando i loro  dipinti.

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Membra stanche, o famiglie di emigranti, 1906, olio su tela, cm 127×164 collezione privata

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La neve, 1906, olio su tela, cm 94×94 collezione privata

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Il tran.tran Volpedo -Voghera, 1903, gessi, inchiostro e pastelli, cm 96×154,5

L’intero paese di Volpedo è testimone della bellezza della pittura di Pellizza, il suo studio è diventato una Casa Museo, le sue opere sono ben tracciate e segnalate. Interessante è la collezione della Fondazione della Cassa di Risparmio di Tortona.

La pittura sociale

di Giovanna Rotondo Stuart

I primi segni di pittura sociale si hanno con il romanticismo e il naturalismo verso la prima metà dell’800: il periodo in cui lo scrittore Victor Hugo ambienta il suo “I Miserabili” – uno dei romanzi più letti del XIX secolo – e Emile Zola denuncia, nei suoi trattati, lo sfruttamento sul lavoro e le terribili condizioni di vita nelle periferie urbane. Tuttavia è con il Realismo che la pittura muove i primi passi verso altre espressioni, liberandosi dai condizionamenti e dagli stereotipi della cultura accademica e dagli eccessi del romanticismo. Il Realismo osserva e racconta la vita della persone in modo oggettivo e concreto: così com’è nella realtà. Lo ha fatto Van Gogh nel suo celebre dipinto “I mangiatori di patate”.
Il termine realismo viene usato la prima volta da Gustave Courbet per la sua esposizione del 1855 chiamata: Pavillion du Réalisme.
Il movimento realista nasce in Francia, con l’affermazione della Seconda Repubblica, nel 1848, in un momento di grandi cambiamenti sociali e culturali.
Tra i suoi interpreti più significativi ricordiamo Jean François Millet, Gustave Courbet e Honoré Daumier. Millet racconta la fatica della vita dei campi con grande sensibilità e lirismo, Corot e Daumier la durezza del lavoro nelle fabbriche, l’estrema povertà delle grandi periferie urbane: cercano la bellezza nella realizzazione di ciò che vedono. L’Arte diventa denuncia delle condizioni di vita dei più sfortunati e sfruttati.

Eugène Delacroix 1789-1863
“La Libertà che guida il popolo” del 1830, in seguito ai tre giorni di rivolta contro Carlo X, può essere considerato uno dei primi dipinti di pittura sociale: il pittore interpreta il desiderio di cambiamento del popolo che si ribella. Eugène Delacroix, uno tra i più importanti pittori del romanticismo, nato in una famiglia agiata e ben inserito nella buona borghesia, raffigura, in questo dipinto, tutte le categorie sociali che marciano insieme verso la conquista della libertà e si schiera con gli oppressi.

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“La libertà che guida il popolo”, 1830

Jean François Millet 1814-1875
Jean François Millet nasce in una famiglia di origine contadina di condizioni molto modeste. Dipinge la vita e la fatica degli umili con poesia e religiosità; a lui si ispirano molti pittori tra cui Van Gogh e Segantini. Nel 1849 si unisce agli artisti della Scuola di Barbizon, nella foresta di Fontaineblau, e ci rimane per il resto della sua vita. E’ un grande pittore!

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Le lavandaie, 1853/55, olio su tela, cm42x52, Museum of Fine Arts Boston

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Le spigolatrici, olio su tela, 1857 circa, cm 55,5×66, Musée d’Orsay, Parigi

Gustave Courbet 1819-1877
Gustave Courbet si definisce uno spirito libero da qualsiasi condizionamento religioso, accademico o politico e, in effetti, lo è. Autodidatta, nei suoi quadri dipinge la dura realtà del popolo mostrando le condizioni estreme in cui lavora e vive. Significativa la sua opera “Gli spaccapietre”, poi andata distrutta durante i bombardamenti di Dresda nella seconda guerra mondiale. Un pittore che non piace alla borghesia per i suoi soggetti troppo realisti. I suoi dipinti non saranno mai accettate nelle mostre ufficiali.

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Le vagliatrici di grano, olio su tela, 1853 , cm 1,31×1,67, Musée des beaux-arts, Parigi

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Gli spaccapietre, olio su tela, 1849, cm 1,65×2,57, già esposta al museo di Dresda

Honoré Daumier 1808-1879
Una mente vivace, pronta a cogliere cause ed effetti di ciò che lo circonda. Osservatore attento dipinge la disperazione e le terribili disuguaglianze sociali. Di famiglia povera incomincia a lavorare presto e, pur avendo frequentato per qualche tempo l’accademia, è essenzialmente un autodidatta. Partecipa alla Rivoluzione del 1830 e in seguito lavora come disegnatore satirico a una delle maggiori riviste di opposizione .
Con Daumier la pittura sociale diventa denuncia. Daumier interpreta le condizioni di totale indigenza in cui vive il proletariato urbano. Inoltre, nelle sue caricature di satira politica denuncia la totale inaffidabilità e incapacità della classe politica, nonché la sua voracità: è un grande! La sua attività gli costerà processi e una condanna a sei mesi di carcere, nel 1832, per attività sediziosa, nonché la chiusura del giornale presso cui lavora. Regna Luigi Filippo succeduto a Carlo X dopo le tre giornate di Parigi del 1930 in cui Delacroix dipinge “La Libertà che guida il popolo.

Incredibile la bellezza del suo dipinto “La difficoltà”; un dipinto in movimento in cui si legge tutta la fatica, l’ansia, e l’affanno per la sopravvivenza.

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Incitamento allo sciopero, olio su tela, 1840 circa, cm 87,6×113, The Philippe Collection, Washington, DC

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Saltimbanchi nomadi, olio su legno,1847 circa, cm 32,6x 24,8, The National Gallery of Art, Washington, D.C.

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La difficoltà o La lavandaia 1850/1853 cm130x98? olio su tela, The Hermitage, SanPietroburgo

Telemaco Signorini 1835-1901
Signorini, ben inserito nell’ambiente benestante, suo padre è pittore presso la corte del Granduca di Toscana, frequenta la Scuola di Belle Arti di Firenze. A Firenze diviene un assiduo frequentatore del Caffè Michelangelo, all’epoca luogo di ritrovo di artisti e critici d’arte come Diego Martelli. Inizia, con Silvestro Lega ed altri, lo studio sulla ricerca del contrasto cromatico: luce e ombra, chiaro e scuro, la pittura a macchia e da qui il termine “macchiaioli”. Le sue ricerche sulla luce non gli impediscono di dedicarsi alla pittura impegnata e nel suo dipinto, “La sala delle agitate”, affronta e raffigura la realtà come vuole la migliore scuola naturalista, ovvero senza sentimentalismi. Viaggia e studia molto, in Francia incontra Corot e altri artisti della scuola di Barbizon. Fonderà, con Diego Martelli, una rivista letteraria: “Il Gazzettino delle Arti e del disegno”, di cui sarà un attivo collaboratore, in seguito si occuperà di critica e satira.

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La sala delle agitate, olio su tela, 1865, cm 66×59, Galleria d’arte moderna di Ca’ Pesaro, Venezia

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L’alzaia, olio su tela, 1864, cm58,4×173,2, Collezione privata

Angelo Morbelli 1853–1919
Angelo Morbelli avrebbe intrapreso la carriera musicale, ma una progressiva sordità glielo impedirà e diviene pittore. Un pittore estremamente realista per i soggetti che dipinge: in “Venduta” e “Derelitta” denuncia la prostituzione minorile. Compassione e denuncia per la solitudine degli anziani nella serie di dipinti sul Pio Albergo Trivulzio e per il duro lavoro delle mondine nelle risaie.
Verso il 1890 s’interessa alla pittura divisionista e adotta la tecnica della scomposizione del colore. Diviene amico di Pellizza da Volpedo.
Nel 1897 vince la medaglia d’oro a Dresda con “Per ottanta centesimi” in cui racconta il duro lavoro delle mondine e “S’avanza”, un tondo dai toni luminosi. Nel 1900 viene premiato con la medaglia d’oro dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900 con “Giorno di festa al Pio Albergo Trivulzio”.

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Per ottanta centesimi, olio su tela, 1895 , cm 124,5×169 , Museo Francesco Borgogna, Vercelli

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Venduta, olio su tela, 1897, cm 67×107, collezione privata

Emilio Longoni, 1859-1932
Figlio di un fabbro e quarto di dodici figli, ha un’infanzia povera e difficile, ma riesce a frequentare l’Accademia di Brera con ottimi riconoscimenti. Sarà un grande amico di Giovanni Segantini e dei fratelli Grubicy, pittori, galleristi e mercanti d’arte attivi nella ricerca di giovani artisti. Longoni, come Segantini, Pellizza da Volpedo, Morbelli, è attratto dallo stile divisionista, la ricerca della luce e la scomposizione del colore sono alla base del movimento. Per il suo impegno sociale viene coinvolto in tumulti politici e sorvegliato dalla polizia che lo considera il pittore degli anarchici. L’opera”Riflessioni di un affamato” gli costa una denuncia per “istigazione alla lotta di classe”.

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L’oratore dello sciopero, 1890/92, Banca di Credito Cooperativo, Barlassina

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Riflessioni di un affamato, 1894, Museo del territorio biellese, Biella

Giovanni Sottocornola, 1855 1917
Amico di Emilio Longoni, Andrea Previati, Giovanni Segantini e altri pittori del movimento divisionista che incontrerà all’Accademia di Belle Arti di Brera, Giovanni Sottocornola nasce in una famiglia di umili origini e dovrà impiegarsi come garzone per aiutare la famiglia a causa della precoce morte del padre. A vent’anni riesce a iscriversi all’Accademia di Brera che frequenterà per qualche anno. La sua produzione varia tra realismo sociale e realismo paesaggistico. E’ anche un abile pastellista. Tra le sue produzioni di pittura sociale troviamo L’alba dell’operaio e Frutera.

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L’alba dell’operaio, olio su tela, 1897 cm 141×253, Galleria d’Arte Moderna, Milano

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Le operaie, 1897 matita sanguigna, cm.54×56

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Frutera, 1886, olio su tele, cm78,5×48,5, Gallerie di Piazza Scala

Plinio Nomellini, 1866-1943

Nel 1885 Plinio Nomellini ottiene una borsa di studio per l’Accademia di Belle Arti di Firenze dove ha la fortuna d’incontrare Giovanni Fattori che sarà suo maestro e diventerà l’amico di un’intera vita. Oltre a frequentare i macchiaioli Telemaco Signorini e Silvestro Lega, Nomellini diventerà con Angelo Morbelli e Pellizza da Volpedo uno dei maggiori pittori divisionisti con attenzione verso le tematiche sociali, come è proprio del movimento divisionista. Nomellini si trasferisce a Genova nel 1890 dove insieme a un gruppo di artisti fonda “Il gruppo di Albaro” che dà impulso alla vita artistica genovese. Nel 1894 sarà arrestato e imprigionato con l’accusa di partecipare a riunioni anarchiche e di essere amico di attivisti anarchici. Giovanni Fattori, Il critico d’Arte Diego Martelli e Telemaco Signorini si batteranno per la sua innocenza e liberazione. Signorini lo difenderà strenuamente durante il processo.

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Lo sciopero, olio su tela, 1889, cm 29,5×40,5 Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona

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Piazza caricamento, olio su tela, 1891, cm 120×160 Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona

 

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Il mattino in officina, 1893, olio su tela, cm21,2×31,5, Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona

 

Angelo Tommasi, 1858-1923

fratello e cugino di Ludovico e Adolfo Tommasi, entrambi pittori, frequenta la scuola di Belle Arti di Firenze. Diventa allievo di Silvestro Lega, uno dei più significativi pittori Macchiaioli dell’epoca a cui s’ispira nei primi anni del suo percorso artistico. Nel 1989 un suo dipinto, Le bagnanti, viene accettato all’Esposizione Universale di Parigi. E dieci anni dopo partecipa alla biennale di Venezia. Viaggia lungamente in Sud America ed espone con successo a Buenos Aires.  Al suo ritorno in Italia si stabilisce a Torre del lago dove fa gruppo con il Club la Boheme a cui fa capo il musicista Giacomo Puccini e frequenta i pittori Plinio Nomellini, Ferruccio Pagni e Francesco Fanelli, gli impressionisti livornesi. Il Museo civico Giovanni Fattori di Livorno espone alcune opere di Angelo Tommasi.

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Gli emigranti, 1895

 

Raffaello Gambogi, 1874-1943

Nel 1892 si iscrive  all’Accademia di Belle Arti di Firenze di cui diviene, in seguito, professore onorario e viene in contatto con Giovanni Fattori, uno dei principali esponenti della pittura macchiaiola. Me è a Torre del Lago, dove si trasferisce con sua moglie, Elin Danielson, pittrice finlandese, che esprime il periodo migliore della sua pittura, una pittura realistica. A Torre del Lago fa parte del gruppo Il Club la Boheme: Tommasi, Pagni, Fanelli, Nomellini. Ammira molto lo stile di Angelo Tommasi. Dopo la morte della moglie, le sue condizioni di salute peggiorano, trascorrerà gli ultimi anni della sua vita in solitudine e isolamento. 

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Emigranti, 1894

Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1868 -1907, e la questione sociale

La questione sociale aveva sempre appassionato Giuseppe Pellizza. Lui, di famiglia agiata, osservava con scoramento la fatica dei lavoratori della terra nelle campagne e degli operai nelle fabbriche. Non è certo stato il primo ad occuparsi del problema sociale, ma i suoi quadri, da Ambasciatori della fame a La fiumana a Il cammino dei lavoratori, divenuto poi Il quarto stato, mostrano la passione e l’evoluzione del suo pensiero. Lui ci credeva nel cammino dei lavoratori e si era impegnato con il cuore e con la mente a dare un contributo a quel cammino. Un contributo non solo pittorico, che tuttavia rimase la parte più significativa della sua partecipazione, ma anche di consiglio e supporto alle loro rivendicazioni.

Incominciò il progetto nel 1891 con Ambasciatori della fame, proseguì con Fiumana e terminò, intorno al 1900 con Il cammino dei lavoratori che divenne poi Il Quarto Stato nel 1901. E’ interessante vedere, negli anni, la realizzazione di un’intuizione che lo porterà, nella sua opera finale, a rappresentare L’Umanità in cammino. Guardando “Il quarto stato” si ha l’impressione fisica dell’Umanità che avanza. Ed è interessante vedere il percorso del suo lavoro: dal primo bozzetto, molto piccolo, su una tavoletta, fino alla realizzazione finale de “Il quarto stato”, di notevoli dimensioni.
Nonostante sia conosciuto principalmente per le sue opere di impegno sociale, Pellizza da Volpedo rimane un grande pittore del divisionismo italiano, con composizioni di una sensibilità e poesia incredibili.

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Ambasciatori della fame, 1891, olio su tavola cm 25×37

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Ambasciatori della fame, 1892, olio su tela cm 51,5×73 collezione privata

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Ambasciatori della fame bozzetto 1893/94, carboncino e gessi su carta cm 159,5×19

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La fiumana, 1895-97, olio su tela, cm255×438, Pinacoteca di Brera, Milano

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Il cammino dei lavoratori, 1898, olio su tela, cm66x116

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Il quarto stato, 1898-1902, olio su tela, cm283x550 Museo del Novecento, Milano

Pellizza da Volpedo ha studiato dal vero i personaggi de “Il quarto stato” ambientato nella piazza di Volpedo, dove l’artista si univa alle rivendicazioni dei contadini che chiedevano condizioni di vita meno terribili. Sia abitanti del luogo sia persone della sua famiglia hanno posato per la realizzazione dell’opera. Il disegno e il particolare del dipinto raffigurano la moglie dell’artista, Teresa.

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Foto a cui Pellizza da Volpedo si deve essere ispirato per le sue composizioni