Ricordando Marilyn (cinque dialoghi)

dialogo uno

Dialogo tra Norma Jeane e sua madre

Una donna e una bimba camminano lungo un viale alberato, ci sono delle panchine ai lati. Ne scelgono una. La donna appare stanca e affatica. La bimba, di otto anni, forse nove, si tiene fortemente stretta a lei tanto da impedirne i movimenti:

“Sediamoci, Norma Jean, mi sento un poco stanca e vorrei riposare”.

“Si, mamma”.

“Ecco, qui va bene. Siamo al sole. Abbiamo bisogno di qualche raggio di sole”.
“Voglio stare vicino a te”.
“Siamo molo vicine, cara”.
“Ancora di più, stringimi forte, mamma”.
Stanno in silenzio per qualche momento, la bambina si raggomitola nel grembo della mamma, quasi volesse ritornarci, sorride:

“E bello stare qui con te, mamma. Vorrei rimanerci sempre”.
“Anch’io vorrei bambina mia, ma non posso. Presto dovrò tornare al lavoro. Non pensiamoci, adesso. C’è un sole tiepido,   piacevole. Mi sento già meglio”.
“Vederti è un bellissimo regalo di compleanno!”
“Mi racconti qualcosa della scuola Norma Jean, ne parliamo così poco!”
“Mi piace tantissimo cantare. Ma anche leggere”.
“Anche a me piaceva cantare e leggere. Raccontami una favola che hai letto ultimamente”.
“Ho letto una storia. Una storia vera. Di una bambina che va a cercare la sua mamma”.
“E la trova?”
“Sì”.
“E’ proprio una bella storia Norma Jean, molto commovente”.
Stanno in silenzio per qualche tempo e mentre la luce si affievolisce la donna incomincia a cantare piano “Happy Birthday”, con voce dolce, a volte solo il tono.

dialogo due

Dialogo tra Marilyn e Joe di Maggio

La scena si svolge in un ampio soggiorno, arredato con eleganza: un uomo e una donna sono in piedi, la donna è appoggiata al camino, l’uomo guarda fuori dalla portafinestra che dà sul giardino. Lei è bionda, non molto alta, senza dubbio appariscente. Lui è di statura al di sopra della media e ha l’aspetto di un atleta:
“No, non posso vivere così”.
“Perché, Joe? Che cosa ci manca?”
“La nostra vita!”
“Lo sapevi quando ci siamo conosciuti che ero un’attrice, un’attrice ambiziosa e non avrei smesso. Ne abbiamo anche parlato”.
“Pensaci, Marilyn… non riusciamo quasi a vederci. Non abbiamo un momento di intimità. Tu sei all’apice del successo. Hai mille impegni di lavoro e di presenza. Non puoi che andare avanti per la tua strada”.
“Non possiamo farlo insieme? Rimani al mio fianco, in questi momenti per me così importanti, ti prego. Me l’avevi promesso quando ci siamo sposati”.
“Non lo nego, ma non posso Marilyn. Non pensavo di diventare la tua ombra. Non era questo il mio sogno”.
“Pensavo che il tuo sogno fosse stare con me. Non chiedermi di rinunciare alla mia carriera, mi è costata sacrifici oltre ogni dire, lo sai. Dovresti capirlo, sei un mostro sacro del baseball, un mito! Hai persino lavorato nel cinema. Conosci l’ambiente, sai com’è: un mondo duro”.
“Si, ma non è il mio. Io non cerco una vita di celluloide: sempre sotto i riflettori, sempre in mezzo alla gente. Ci tengo alla mia privacy e la difendo”.
“Non è facile per una diva al culmine del successo avere una vita privata. Oltre al lavoro ci sono degli obblighi pubblicitari e mondani”.
“Che ti piacciono molto! Puoi essere una professionista seria e famosa pur non apparendo a ogni evento”.
“Mi stai chiedendo di abbandonare… ”
“No, non ti sto chiedendo nulla. E non funzionerebbe, comunque. Non rinunceresti certo alla tua carriera e alla tua vita per amor mio”.
“Non potrei. Mi piace tutto ciò che faccio, voglio essere libera di conquistare il mio pubblico senza impedimenti, stare con gli amici, uscire a tutte le ore”.
“Hai creato il tuo personaggio con intelligenza, ma non riesci più a distinguere tra realtà e finzione”.
“Sei ingiusto nei miei riguardi: sono generosa con il mio pubblico e mi concedo senza fare calcoli”.
“E’ vero. In Giappone hai interrotto la nostra luna di miele per andare in Corea. Ci eravamo appena sposati!”
“E’ stato molto bello, per me. L’ho fatto con convinzione e passione. Mi dispiace che tu ti sia risentito”.
“No, non mi sono risentito. Ho capito ciò che avevi in mente, ho compreso il tuo desiderio di dare un contributo e ti ho ammirata. Ero preoccupato per la tua incolumità!”
“E’ stata un’esperienza reale, vera. Quei ragazzi hanno dimenticato per qualche momento l’orrore della guerra, ho sentito la loro gratitudine: lo rifarei anche in condizioni più difficili”.
“Non sono questi gli episodi che ti rimprovero, ma la vita frenetica che conduci. Mi sono illuso che l’amore potesse essere più forte e duraturo di qualsiasi altro coinvolgimento”.
“Ma si tratta della mia carriera”.
“Tu sei un simbolo! Tutti ti desiderano, ti amano, ti invidiano. Sei brava e lo diventerai ancor di più. Non sarò io a limitare il tuo successo”.
“Diamoci un’altra chance, Joe. Tentiamo ancora. Non voglio lasciarti. Sei una persona tenera, riservata, anche se un po’ orso, tuttavia la più affidabile intorno a me”.
“No, durerebbe solo alcune ore, non comunichiamo da tempo. A volte ci troviamo nella stessa stanza e io faccio fatica a parlarti, mi sento pieno di rancore, prigioniero dei miei sentimenti. Tu diventi insofferente, litighiamo. Come negli ultimi giorni. Non ha senso”.
“Dimmi che cosa possiamo fare. Ti prego, Joe!”
“Solo lasciarci, ci penso da molti giorni e molte notti. Sono geloso della tua immagine, di quanti ti guardano. Non mi piacciono le parti che ti fanno recitare, non mi piace come ti vesti. Vorrei stare con te, sempre. Non sono disposto, pur amandoti molto, a dividerti con il pubblico, con il tuo lavoro, i tuoi amici. Vederti quando capita”.
“Joe, non sono pronta a rinunciare a tutto questo. Non ancora. Forse un giorno. Ho bisogno di loro… ho bisogno di te”.
“Desideravo una famiglia, Marylin. La mia era povera, ma molto affiatata, eravamo in tanti, ci volevamo bene, ci aiutavamo. Avrei voluto creare una vera famiglia con te, per te”.
“Anch’io vorrei una famiglia, dei figli. Era il sogno della mia adolescenza. Ma voglio anche il successo. Il riscatto di tanti anni di umiliazioni. E non posso interromperlo ora”.
“Era il mio desiderio, non è mai stato il tuo. Tu hai bisogno di un guardiano fedele ed è un ruolo che non mi appartiene”.
“Mi stai attribuendo il fallimento del nostro matrimonio, e forse è così. Ti ho sposato per amore e ti amo tutt’ora”.
“Me ne rendo conto con dolore, ma è il tuo momento, non il nostro. Ci siamo incontrati nel periodo sbagliato, non c’è posto per me nella tua vita di oggi”.
“C’è nel mio pensiero”.
“Speravo di svegliarmi al mattino, preparare la colazione. Passeggiare con te al parco, abbracciati come due amanti. Saresti diventata la mia luce”.
“Ti prego, non voglio piangere”.
“Non piangere Marilyn. Potrai contare su di me tutta la vita!”
“Se questa è la tua decisione, non mi resta che accettarla. Addio Joe”.
I love you, my dear. For ever.

dialogo tre

Dialogo tra Marilyn e il suo psichiatra

Uno studio arredato come un salotto. Una grande scrivania e, di lato, un lettino, quasi un sofà su cui è sdraiata una donna dall’aspetto sofferente e sciupato. Un uomo, seduto accanto a lei, le stringe una mano.
“Che cosa succede, Marilyn?”
“Mi sento strana. Ho un malessere intenso dentro di me, un tremolio diffuso, non riesco a calmarmi, non c’è nulla che mi calmi, che mi rilassi. Ho bisogno di aiuto. Sto male, sto sempre male”.
“Bevi troppo! Ti fa male. Devi smettere di bere, lo sai”.
“Si, e prendo anche troppe medicine, lei me le prescrive”.
“Se tu non le prendessi, staresti peggio, il tremolio interno sarebbe anche esterno. Si noterebbe vistosamente”.
“Ma divento ebete! Gli psicofarmaci mi impediscono di vivere. Mi fanno sentire una bambola rotta, buttata via”.
“E’ tempo che tu decida della tua vita, Marilyn. Se continuerai a vivere in questo modo, ti distruggerai”.
“Norma mi aiuterà, lei non è fragile come Marilyn”.
“Norma non esiste, esiste solo Marilyn”.
“Io sono Norma e Marilyn. Sono tutt’e due dentro di me. Sono Marilyn e Norma insieme”.
“Siete due persone diverse, Norma non c’è più: vive solo nella tua mente, devi liberartene!”
“Lei è la parte migliore di me, la mia coscienza, mi tiene sveglia”.
“Sii fiera di te stessa. Norma Jean è diventata Marilyn Monroe. Una splendida creatura”.
“Che tutti vogliono e nessuno ama!”
“Amare è ancora più importante”.
“Non posso amare con questo malessere dentro di me”.
“Devi uscirne: è un percorso molto faticoso, non ce un’altra via. Hai bisogno di un lungo ricovero. Sola, non ce la farai mai… ”
“Ho provato. Era terribile!”
“Lo so. Dovevi resistere. E’ stato un errore interrompere la terapia”.
“Non c’è un modo meno crudele, per tirarmi fuori da tutto questo? Joe, il mio ex marito, ha detto che devo smettere di bere e prendere barbiturici. Soprattutto cambiare giro di amici, ma non ci riesco. Non ho le energie per farlo! Lei è il mio psichiatra, dovrebbe consigliarmi”.
“Posso trovarti una buona clinica che ti aiuti a disintossicarti, ma tu devi volerlo fortemente. Non sarà una passeggiata, ci vorranno molti mesi”.
“Ci penserò alla fine dell’estate. Volevo vedere l’uomo che amo, ma a lui non interessa vedermi. Almeno, non tanto quanto me”.
“Intendi il Presidente?”
“No, ero invaghita di lui e non si può non esserlo: è bello come il sole, ma non è lui a cui penso e lei lo Sto arrivando!”.
“No, non lo so e non è necessario che io lo sappia”.
“Mi hanno trattata come una Diva. Una bambola che suscita piacere, ammirazione e poi si accantona. Ho bisogno di tenerezza, di tanto amore, ho bisogno di sentirmi amata… devo essere più importante di qualsiasi scandalo!”
“Ciò che dici è molto grave. Sei irrazionale come una bimba piccola”.
“Ma è vero! Desiderano la mia immagine, non me. Non possono usarmi come un loro passatempo”.
“Parlane con la persona che dici di amare… ”
“Ho tentato, per farmi coraggio devo bere”.
“Cerca di farlo da sobria”.
“Tremo, non riesco a combinare il discorso. Se prendo le pillole è ancora peggio, non so neanche come mi chiamo”.
“Il punto è sempre quello: non puoi pretendere che ti si ami in queste condizioni. Devi curarti, non hai altra scelta. Se non lo farai, soccomberai”.
“Ho tentato tante volte, senza successo”.
“Non devi tentare, devi volerlo! devi essere tu e solo tu. Gli altri possono aiutarti dandoti pillole. Nient’altro”.
“Anche questo è un abuso”.
“Sei tu che abusi di te stessa, solo tu, Marilyn”.
“Ma lei non può aiutarmi? La pago per questo. E anche bene!”
“Mi sono illuso di poterlo fare, mia cara. Il mio obiettivo era di aiutarti a uscire dalla dipendenza da barbiturici e alcool: un insieme che ti sta uccidendo. Sono troppi anni che vivi così. Posso solo prescriverti dei sedativi per farti stare meno male, ma non risolvono nulla, sono solo dei palliativi”.
“Allora perché mi permette di prenderli?”
“Te l’ho spiegato più di una volta: staresti peggio se non li prendessi”.
“Mi farò ricoverare. Mi farò disintossicare. Mi scelga una clinica che non sia troppo violenta”.
“Non sarà la clinica ad essere violenta. E’ la lotta per liberarti dalla dipendenza che sarà dura e violenta”.
“Le sue parole mi spaventano. Come farò con il lavoro?”
“Non sei in grado di far fronte ai tuoi impegni, comunque, in queste condizioni, lo sai. Devi renderti conto della situazione in cui ti trovi, per accettarla e combatterla”.
“Lo farò presto! Ho bisogno di qualche giorno ancora per decidere. Devo pensare”.
“Non aspettare troppo, Marilyn”.
“Chi mi starà vicino? Chi mi verrà a trovare? Chi si occuperà di me?”
“Io ti aiuterò, per quanto mi sarà possibile”.
“Ma lei non potrà aiutarmi come qualcuno che mi ama. Lei è solo il mio psichiatra, la pago per curarmi!”
“Farò del mio meglio, te lo prometto”.
“Sì, andrò alla fine dell’estate!”

dialogo quattro

Dialogo tra Marilyn e Norma Jeane

La stanza è in penombra, s’intravede un letto, una figura femminile sdraiata, immobile. Sembra dormire. Si odono dei mormorii strascicati:

“Ho freddo, ho tanto freddo. Non posso muovermi, Norma dove sei?”
“Sono qui con te, bambina mia, come sempre”.
“Mi sento male, ho i brividi… ”
“Vuoi parlare un poco?”
“Sì, mi sento così sola… ”
“Farei qualsiasi cosa per aiutarti, Marilyn, lo sai”.
“Lo so Norma, tu sei la mia coscienza e io non ti do mai ascolto”.
“Dovevi rimanere Norma Jean. Oggi saresti una signora piacente, un po’ sovrappeso forse, magari con dei marmocchi”.
“Sarebbe stato bello!”
“Sì, solo che ero io a volere dei bambini… ”
“Norma, ci ho provato anch’io”.
“Ho qualche dubbio che tu ci abbia provato per davvero, ero io quella che voleva avere dei figli e una famiglia”.
“Aiutami, per favore, sto troppo male”.
“L’hai fatto ancora! Questa volta non avrai scampo”.
“Devi telefonare subito al mio medico, chiamarlo… ”
“A che scopo? Per farti dare delle altre pillole? Ne hai già prese tante!”
“Non mi tormentare. Ho fatto del mio meglio, anzi, di più, c’è stato un momento in cui ho pensato di poter essere felice.
Hai lavorato tanto e studiato tanto e io con te. Lo meritavi! Ma dentro di te sei rimasta Norma Jean. La tua insicurezza è devastante”.
“Che cosa dovevo fare? Non riesco ad essere ciò che non sono. E mi sento braccata. Sempre! E adesso? Dimmi, adesso cosa posso fare?”
“Nulla, non ho consigli da darti. Puoi soltanto morire! Sì, mi sembra un buona via di uscita. Molti ti rimpiangeranno. Ti ricorderanno bella, bella e patetica nella tua infinita solitudine”.
“Perché usi il passato? Non sono più bella?”

“Il tuo aspetto fisico è terribile: i tuoi capelli sono secchi e radi, la tua pelle grigiastra e piena di rughe. Troppe pillole e troppo alcol ti hanno devastata!”
“Ma sono sempre Marilyn!”
“Sì, la tua immagine, benché tu non ci sia più. Non sei più tu. Impasticcata e ubriaca dalla mattina alla sera. Per la maggior parte del tempo non sai quello che fai, né ciò che dici. Ci vuole un esercito per metterti in piedi”.
“Non essere crudele con me. Non avevo scelta se volevo andare avanti. Perché sono schiava di tutte quelle pillole?”
“E l’alcol dove lo metti? Persino quando sei andata a ritirare Il Golden Globe eri ubriaca, così ubriaca che non è stato possibile trasmetterti mentre ritiravi il premio. Mi sono vergognata terribilmente!”
“Anch’io mi sono vergognata. Ero terrorizzata da tutto quel pubblico… Mai avrei pensato di arrivare a tanto successo: bevevo per farmi coraggio”.
“Uno dei riconoscimenti più importanti al mondo. Dopo tutta quella fatica che abbiamo fatto per arrivarci! Povera, povera Marilyn”.
“Non rimproverarmi, sono già stata punita abbastanza”.
“E anch’io con te, non ci hai mai pensato a me, vero?”
“Non avevo tempo, dimmi che cosa devo fare, Norma, me l’hai sempre detto, questa volta ti ascolterò!”
“Meglio farla finita. Prima che ti distruggano gli altri. Tu hai incominciato a farlo tanti anni fa, non opporre resistenza, rilassati!”
“Vorrei un po’ di tenerezza, un po’ di amore. Norma tu lo sai, sei la mia parte migliore, ti porto dentro di me, ti parlo. Ho sempre avuto amore e tenerezza nel mo cuore”.
“Sono io che ho sempre avuto amore e tenerezza, Marilyn, tu eri troppo ambiziosa per lasciarti andare. Ero io che non ci tenevo a diventare una celebrità”.
“Se qualcuno potesse accarezzarmi, scaldarmi, mi sentirei meglio. Sto male, tanto male, Norma. Sento di essere alla fine”.
“Chiudi gli occhi piccola mia, pensa a qualcosa che possa aiutarti a star meglio”.
“Ricordo quella volta che la mamma mi portò al parco. Era una bella giornata di sole, lei mi prese tra le braccio e mi accarezzò a lungo, con dolcezza, e mi strinse a sé tutto il pomeriggio. Se chiudo gli occhi sento ancora le sue carezze”.
“Si, mi ricordo di quel giorno, fu l’ultima volta. Aveva l’aria così affaticata, ma io ero troppo felice di vederla per rendermene conto: era il mio compleanno! Mi strinsi a lei tutto il pomeriggio. Anche lei era sola e malata”.
“E’ stata la causa maggiore delle miei paure, dei miei complessi. Doveva darmi in adozione”.
“Ha fatto tutto ciò che ha potuto, non riusciva a pensare di non vederti più”.
“Tirarsi fuori da quella vita randagia non è stato facile, tutte quelle famiglie che mi hanno ospitato… ”
“Non lo dimentico, tuttavia sei stata brava: eri bella e determinata. Hai studiato, sei diventata famosa”.
“E infelice. Nessuno mi ha veramente amato, per quale ragione?”
“Hanno tentato. Il successo non l’ha permesso. L’alcol e i barbiturici non l’hanno permesso e tu stessa non l’hai realmente voluto”.
“Non ricordo l’inizio”.
“Hai incominciato presto a mandar giù pillole di ogni tipo. Oggi non ce la fai più a rispettare i tuoi impegni di lavoro”.
“Ho sempre lavorato tanto… ”
“Dovresti lavorare adesso. Raccogliere quello che hai seminato. Ma non sei più professionale: sempre in ritardo, sempre ubriaca… ”
“Ti prego, Norma, ti prego non infierire. Ero paralizzata dalla timidezza e dalla paura. Non riuscivo a farcela da sola; avevo bisogno di aiuto”.
“Hai scelto l’aiuto peggiore: la dipendenza. Mi meraviglio come tu abbia retto tanti anni in quelle condizioni! Sei intelligente, sensibile. Avresti potuto essere un mostro di bravura”.
“Volevo essere colta, all’altezza delle situazioni. Avevo paura di sbagliare, soprattutto se dovevo parlare in pubblico, recitare. Per quello bevevo, prendevo pillole e arrivavo in ritardo: non riuscivo a muovermi”.
“Quando hai cantato: “Happy Birthday, Mr President”, eri intensa e bellissima. Avresti dovuto accontentarti! Hai avuto il desiderio e l’ambizione di voler far parte di un mondo che non ti apparteneva”.
“Ma non sono io che l’ho cercato, quel mondo è venuto a cercarmi”.
“Dovevi incassare il tuo successo. Essere discreta. Curarti. Cambiare stile di vita. Dovevi essere tu a volerlo per riuscire. Ti sei logorata e sei andata avanti per la tua deriva. Una deriva amara!”
“Tu non capisci, io ci ho creduto veramente, ma loro non mi hanno voluta. Non mi hanno ritenuto all’altezza”.
“Te l’ho detto tante volte: dentro di te sei rimasta Norma Jean. Io ero una ragazza fragile, insicura, romantica e avrei desiderato tanto avere una famiglia. Per diventare Marilyn hai dovuto prendere pillole per tutto: dormire, lavorare, svegliarti. Anche per far l’amore”.
“Sì, mi sono trovata al centro di un mondo scintillante”.
“A cui non hai voluto rinunciare neanche per amore”.
“E’ vero!”
“Non sei stata in grado di scegliere il marito o l’amante giusto, neanche il medico o la donna di servizio”.
“Né il marito né l’amante e neanche lo psichiatra… Perché? Eppure non sono peggiore di altri”.
“No, non lo sei, mia povera Marilyn”.
“Ho sperato che funzionasse con Joe e poi con Arthur… ”
“Non hai lottato abbastanza, con Joe hai preferito la tua carriera, lo sai, te l’ho detto tante volte. Lui ti amava davvero, non voleva dividerti con mezzo mondo. Io sarei rimasta con lui per tutta la vita. Mi avrebbe protetto, amato. Ero felice quando l’ho sposato e non avrei mai divorziato”.
“Sì, Norma Jean, tu lo eri, ma non io. Con Miller ci ho creduto, volevo avere un figlio da lui”.
“Era troppo diverso da te, da me. Un intellettuale, non ha capito le tue difficoltà. Neanche io capivo lui”.
“Se avessi avuto un figlio da stringere al cuore… ”
“Ma non l’hai avuto, almeno sei sicura che non sarà stato infelice”.
“Sarebbe stato bello. l’avrei amato tanto! Ho freddo, Norma, tanto freddo, mi sento così rigida, non riesco a rilassarmi. Forse dovrei… coprirmi…

dialogo cinque

Dialogo tra Marilyn Monroe e Andy Warhol

I due camminano lungo una strada senza fine tenendosi per mano. Lei cammina a piccoli passi su un paio di scarpe dai tacchi altissimi, gli occhi socchiusi, un sorriso splendente, i capelli biondi, perfetti. Lui, molto magro, di aspetto ricercatamente sciatto, indossa mocassini e capelli color platino.

“Andy, sei un grandissimo impostore. Guarda cosa sei riuscito a combinare!”
“Nulla, non ho combinato proprio nulla. Ho dato loro quello che volevano… ”
“Hai fatto di me una persona che vivrà per sempre, bella e luminosa”.
“In effetti, mi sei riuscita bene”.
“Io che ero diventata brutta e pelata, sarò come tu mi hai raffigurato per l’eternità”.
“Si, finché esisterà l’eternità: come la Coca Cola e la minestra della Campbell!”
“Non essere sarcastico, non puoi paragonarmi a una bottiglietta o a una lattina!”
“Tu sei un oggetto di consumo, esattamente come lo sono le lattine e le bottigliette”.
“Non pensi che ci fosse qualcos’altro, dentro di me?”
“Questo non interessa più. Noi dobbiamo scegliere, tu hai scelto di essere quella, per sempre”.
“Ma chi l’ha detto?”
“Non l’ha detto nessuno, sei tu, con le tue azioni, che l’hai determinato”.
“Non è vero, sono stata una vittima fin dall’infanzia… Se avessi avuto una famiglia normale, sarei stata più felice”.
“Si, senza dubbio, ma poi hai scelto, come me, anzi, più di me, di essere un personaggio pubblico”.
“Io volevo studiare, non volevo rimanere un’oca”.
“E perché non l’hai fatto?”
“Mah, me lo chiedo, ogni tanto… ”
“Dì che ti piaceva essere famosa, desiderata: un sex symbol!”
“Sì! E sono contenta della nicchia che mi sono conquistata, anche grazie a te e al fatto che sono morta giovane”.
“Ma ti sei uccisa per davvero?”
“Bella domanda: non lo so neanch’io. Mi sono impasticcata e ho bevuto come al solito, mi sarò dimenticata di aver preso le pillole e ne ho prese ancora e… eccomi qua!”
“Vuoi dire che non sai che cosa ti sia successo in seguito?”
“Proprio per niente”.
“Furbetta!”
“Come te, ci hai propinato le tue riproduzioni fotografiche come autentici capolavori: hai un ottimo senso degli affari!”
“Bé, come te, amo il lusso. I miei erano poveri e allora ho aguzzato il mio ingegno creativo e, credimi, ne avevo una buona dose”.
“Sì, ho visto le tue “Ossidazioni”. Vere creazioni di sedute urinarie! Ma dimmi, non puzzavano?”
“Finché le tele non asciugavano… il fondo era trattato in modo particolare”.
“C’erano indicazioni sul numero dei partecipanti?”
“No, si poteva eseguire in gruppo o singolarmente. Chi c’era, c’era”.
“Presumo che ci fossero molti getti incrociati”.
“Presumi bene. Ci siamo divertiti, lavorando. Tuttavia è stato solo un periodo, abbiamo creato molto altro”.
“Avresti vissuto qualche anno in più?”
“Che differenza avrebbe fatto?”
“Ma non rimpiangi nulla?”
“Che domanda banale!”
“Bé, di banalità ce ne hai vendute tante… ”
“Anche tu. I miti vendono bene!”

Andy Warhol

Palazzo Reale, Milano

Pop Art. Da Arte Popolare di cui Andy Warhol è stato indubbiamente uno dei massimi esponenti e il suo protagonista indiscusso e più spregiudicato:

“ Pop è consumo, pop è divertimento, pop è superficialità”.

 

Andy Warhol autoritratto

Andy Warhol Autoritratto

Presente a Milano, a Palazzo Reale, dal 24 ottobre al 9 marzo, una grande personale dell’Artista, fulcro delle manifestazioni per l’Autunno Americanoinsieme alla mostra di Pollock e gli Irascibili.

        

Andy Warhol a Palazzo Reale

Andy Warhol a Palazzo Reale

             

Warhol, personaggio eclettico, si è cimentato in arti come la scultura, la pittura, la scenografia, la regia, la fotografia. E’ stato anche attore e produttore cinematografico. Grafico di grande talentotrascorre i primi vent’anni della sua vita a Pittsburgh,Pennsylvania, dove nasce Andrew Warhola jr, il 6 agosto 1928, da una famiglia povera di immigrati  slovacchi. Sono gli anni della Grande Depressione, anni difficili. Andy Warhol è un bambino particolare, che ha problemi di salute, spesso rintanato in casa perché ammalato.  Coltiva  la passione per il disegno e i fumetti. Pittsburgh, una città industriale, non è molto idonea alla carriera di un artista.Warhol, poco più che ventenne, finito l’Istituto d’Arte,  si trasferisce a New Yorkche è considerata tra le capitali mondiali della cultura e dell’arte. I primi anni sono durissimi e faticosi, ma Warhol si affermerà presto. Già nel 1952 terrà la sua prima mostra personale alla Hugo Gallery.

 Sua madre, con cui ha un rapporto affettivo molto intenso, lo raggiunge qualche anno dopo, lo aiuta nel lavoro, tra le altre cose, ricopia per lui le ricette per quel delizioso libro che pochi conoscono: Wild Rasberries. Il libro contiene cake designs, schizzi di torte e altre ricette, illustrato e scritto da Andy Warhol, prima che divenisse un celebre pittore e un divo del Jet set internazionale.

                                                                              

Andy Warhol disegni per “Wild Raspberries”, 1958

Andy Warhol disegni per “Wild Raspberries”, 1958

Andy Warhol disegni per “Wild Raspberries”, 1958

Andy Warhol disegni per “Wild Raspberries”, 1958

     

Sono gli anni 50. Gli anni dell’affermazione del sogno americano di benessere per tutti. Il consumismo, ormai ben radicato nella Società Americana, dà vita a una cultura di massa. Sono gli anni  della ricerca di nuove tecnologie in tutti i campi, del cinema e della televisione, di nuove forme di espressione artistica, della pubblicità.

A New York Warhol lavora come grafico pubblicitario per riviste importanti come Vogue, Glamour, Harper’s Bazar, fa il vetrinista e gli piace la pubblicitàche interpreta come nessun’altro ha fatto prima lui.

                                              

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Andy Warhol Elvis Priesly Gold boot, 1956

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Andy Warhol Red shoe, 1956

In breve diventa il disegnatore più richiesto e meglio pagato del momento.  Disegna anche scenografie per il teatro, ha talento da vendere, è originale,  raggiunge il successo e la ricchezza prima dei trent’anni. Ma è, soprattutto, un ottimo imprenditore di se stesso.
Fonda l’impresa: ”Andy Warhol Enterprises”, verso la fine degli anni Cinquanta, per commercializzare le sue opere che riproducono oggetti di consumo industriale. Usa la tecnica della serigrafia che permette la moltiplicazione della stessa immagine innumerevoli volte.


E inizia la seconda parte della sua storia, che lui costruisce con molto impegno.

Non c’è niente che riguarda l’Arte che uno non possa capire”.

In questa frase di Warhol è racchiusa molta parte del suo pensiero. L’arte deve essere consumata come un qualsiasi prodotto commerciale. In un mondo fatto di consumi di massa, dove i supermercati mostrano file della stessa merce, dove tutti mangiano e bevono le stesse cose, l’artista si ispira a oggetti, persone e avvenimenti della vita quotidiana e li rende visibili.
Warhol presenta l’arte come uno dei tanti prodotti seriali che si vendono nei supermarket e la espone ricordando a tutti noi che è un prodotto di consumo.
Con tecniche a impatto serigraficosi dedica al riporto fotografico su tela o seta e ripete  la stessa immagine tutte le volte che vuole,  ritoccandola con colori decisialterandoli e vivacizzandoli a suo piacimento.
Lo fa con qualsiasi cosa: lattine di minestra in scatola della Campbellbottiglie di Coca Cola, personaggi famosi, ma anche avvenimenti   tragici, quali incidenti mortali e simili.
Non c’è denuncia o condanna nelle sue raffigurazioniripropone all’infinito la realtà che lo circonda senza attribuirle valore polemico o di dolore, semplicemente svuotandola di significato.
E un provocatore nato oltre a un grandissimo uomo d’affari.

“Fare soldi è arte. Lavorare è arte. Un buon business è la migliore opera d’arte”.

 

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Campbell over Coke, 1962

      

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Minestra in Scatola, 1962

 

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Thirty are better than one,1963 (trenta sono meglio di una)

Secondo la concezione consumistica di Warhol, Trenta Figure della Gioconda sono meglio di una.

                                                                 

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One Dollar bills, 1963

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Scatole e fiori, 1964

Marilyn, simbolo della mostra, viene consacrata da Warhol, qualche tempo dopo il suicidio, in tutto il suo splendore, per sempre.

Il segno in mezzo alla  fronte è causato da un proiettile sparato da Dorothy Podber, una delle amiche frequentatrici della Factory, che, entrata, chiede a Warhol se può sparare e, alla risposta affermativa, colpisce Marilyn in mezzo agli occhi. L’equivoco viene dal fatto che “shot”, il vocabolo usato, può essere attribuito sia allo sparo che allo scatto fotografico. A Warhol, Marilyn piace con quell’imperfezione in mezzo agli occhi e non la restaura.

 

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Shot Lighti Blue Marilyn, 1964

 

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La sedia elettrica serigrafia, 1964 e Liquorice Marilyn

 

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Pensiero Pubblicitario, molto democratico, di Andy Warhol

 

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Andy Warhol, Silver Coke Bottles, 1967

Andy Warhol è un uomo all’avanguardia. Ben Collocato nel secolo scorso che di Avanguardie è stato molto fecondo: vedi  Cubismo,  Futurismo,  Surrealismo,Dadaismo, per citare i più significativi.
Gli interpreti   di questi movimenti danno una notevole impronta all’arte del Novecentoun fiorire di stili che  cercano di esprimere linguaggi artistici più fluidi, meno rigidi e legati alla realtà. Tutto il XX secolo è un susseguirsi e un inseguirsi di movimenti alla  ricerca di nuove espressioni,  spesso in polemica tra loro e spesso per la durata di un decennio. Warhol si afferma verso la fine degli anni Cinquanta, il periodo di maggior splendore dell’Impressionismo Astratto e dell’Action Painting, il primo vero movimento americano,  guidato da Jackson Pollock. Pollock usa la tecnica del “dripping”, il colore fatto sgocciolare dal pennello o da un bastone, su una tela stesa sul pavimento.  Una ventina di anni dopo Warhol concepisce  “Oxidation Paintings”. Prepara grandi lastre o tele, con fondo trattato a rame e vi orina sopra, solo o con amici.  L’ossidazione crea notevoli effetti cromatici: verdi, arancioni, oro e altre sfumature. Non si sa se il getto sulla composizione sia stato diretto in verticale o in orizzontale, conoscendo Warhol avrà tentato tutt’e due le posizioni. Le tele vengono anche chiamate “Piss Paintings”.

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Oxidation, 1978

 

Notevole il ritratto di Richard Nixon, eseguito da Warhol in periodo elettoraleche scrive, di suo pugno, sotto il viso di Nixon: Vote McGovern, il suo rivale. Nixon lo inserisce nella lista nera dei suoi nemici.

 

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Andy Warhol Richard Nixon, 1976

 

Portrait of Murray Brant 1975, nella sala della Polarod

Ritratto di Murray Brant, 1975

La sala della Polaroid

La Polaroid, o Big Shot, è  usata moltissimo da Andy Warhol che firma decine di ritratti a personaggi famosi dello spettacolo, della cultura e della politica, come si può vedere nell’ultima sala della mostra. La collezione viene esposta per la prima volta in Europa. Io porto la mia macchina fotografica ovunque vada. Avere un nuovo rullino da sviluppare mi dà una buona ragione per svegliarmi ogni mattina”.

L’Ultima cena

Warhol, nonostante il suo spirito ribelle e provocatorio, non si sottrae al confronto con l’arte del passato. La sua ultima mostra avviene a Milano, nel 1987, con l’Ultima Cena ispirata a Leonardo da Vinci. Morirà lo stesso anno. Un Warhol mistico, diverso.

 

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L’ultima Cena di Andy Warhol 1986

 

                       Andy Warhol, il mito

Gli anni Sessanta son gli anni in cui  Andy Warhol crea il suo mito. Si fa ritoccare il naso e disegna lo stile delle sue parrucche, prima biondo platino, poi color argento, da cui non si separerà mai. Indossa abiti stravaganti, sempre controcorrente.

La Factory è il luogo in cui lavora con i suoi collaboratori. Uno studio rivestito di carta argentata alle pareti in cui si organizzano feste e eventi mondani esclusivi.

 

 Andy Warhol nella sua Factory

Andy Warhol nella sua Factory

                           
Rilascia molte interviste, sempre ironico, provoca costantemente la banalità con altrettante banalità su di sé. Crea un numero notevole di autoritratti: fa di se stesso il suo modello più interessante e si ritrae in maniera ossessiva.

Mi piace essere la cosa giusta nel posto sbagliato e la cosa sbagliata nel posto giusto.”

Andy Warhol Autoritratti (foto dal Web)

                                                          

1964

1964

1967 circa

1967 circa

1977

1977

1987 circa

1987 circa

Warhol si dedica con successo alla regia, contribuendo a rendere famoso il cinema cosiddetto undergroundcioè fuori dai circuiti ufficiali e a basso costo.
Descrive senza riserve la vita quotidiana come fa nelle sue opere. Si circonda di ogni tipo di persone: disadattati, drogati, personaggi famosi e sconosciuti.
Vive la sua omosessualità senza costrizione e ipocrisia, da persona libera, condizione non facile a quei tempi. Alcuni suoi film  durano a lungo: Sleep ben sei ore (si vede qualcuno che dorme per tutto il tempo),  “Empire” otto.

Warhol subisce due attentati, di cui uno, nel 1968, lo riduce in fin di vita e in coma per più di un mese. Questo terribile avvenimento lo segna profondamente con conseguenze di disagio e dolore (deve indossare un corsetto su richiesta medica), per il resto della sua esistenza.
Un episodio che condiziona la sua arte e il suo stile di vita per sempre!
Chi  conosce Warhol lo definisce un uomo timido, riservato e  osservatore molto attento.
Muore a New York, il 22 febbraio del 1987, a 59 anni, durante un’operazione alla cistifellea, per complicazioni.
E’ sepolto a Pittsburgh. Pittsburgh nel 1990 inaugura l’Andy Warhol Museum

     Andy Warhol e Peter Brant                

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Red on black autoritratto,1986 (rosso su fondo nero)

      

Tutte l160 opere esposte provengono dalla Fondazione di Peter Brant, un ricco uomo d’affari statunitense, con la passione per l’arte moderna, che ha curato personalmente la mostra.
Brant è stato grande amico di Warhol,  ha condiviso la vita da Star dell’artista dagli anni Sessanta  fino alla sua morte, iniziando a collezionare opere dell’autore in giovanissima età: la sua prima serigrafia sulla Campbell Soup,risale al 1967.
Racconta che Warhol amava molto Milano e considerava “The Last Supper”, il suo lavoro più sentito.
Warhol aveva la convinzione che la sua arte non gli sarebbe sopravvissuta.
Una bellissima mostra quella su Andy Warhol,  un personaggio controverso e dissacratore, che ha avuto il  coraggio di metter a nudo una società puritana e consumista.

Giovanna Rotondo Stuart

     

malos mannaja su Warhol

Ma veniamo a Warhol che afferma:
“Non c’è niente che riguarda l’Arte che uno non possa capire” 
non è escluso che io possa tradurlo con 
“non c’è arte se non c’è qualcosa da capire”
 e il cerchio si chiude. 
di più, cortocircuitiamo il seguente insieme di concetti:
“Warhol presenta l’arte come uno dei tanti prodotti seriali 
che si vendono nei supermarket e l’espone ricordando a tutti 
noi che è un prodotto di consumo. Andy Warhol, un personaggio 
controverso e dissacratore, che ha avuto il coraggio di mettere 
a nudo una società puritana e consumista”
 non è escluso che io possa tradurlo in provocazione.
 probabile che Warhol abbia voluto sbeffeggiare tanto l’aura di
 *superiorità*  che la maggior parte degli artisti si calza addosso
quanto il consumismo. 
forse per questo era convinto che la sua arte non gli sarebbe 
sopravvissuta perché la sua è un’arte-non-arte, ovvero una sorta 
di “arte” funzionale ad una provocazione di concetto, ergo, in 
ultima analisi, un’arte fortemente contestualizzata.
 ma la gente guarda l’artista più che l’opera d’arte e questo avrebbe 
dovuto saperlo, il buon Andy, che artista lo era nell’immagine 
fin nel midollo, dunque capace di sopravvivere non solo alla
 sua arte ma anche a se stesso
.
Ohi, comunque se l’obiettivo dichiarato è “portare l’arte a tutti”, 
*entrare gratis ad una mostra* può funzionare quanto (meglio?) 
della provocazione per assurdo della vendita a scaffale in un 
ipermercato. 
il nucleo polposo irrisolto (anche in Warhol) è che in un sistema 
di mercato l’artista difficilmente è disposto per amore dell’arte 
a rinunciare al suo ritorno economico
.

Baci, abbracci e a presto.

malos