Giuseppe Leone “D’in Su La Vetta Della Torre Antica”

In occasione della rassegna letteraria che ha luogo in questi giorni al Convento di Santa Maria La Vite a Olginate – una bellissima location che val la pena di visitare, e questi eventi potrebbero essere un buon momento per farlo (vedi locandina) – vi propongo l’articolo di Aida Isotta Pedrina sul bel saggio di Giuseppe Leone “D’in su la vetta della torre antica Giacomo Leopardi e Carmelo Bene sospesi fra silenzio e voce”. Che verrà presentato Venerdì 1 settembre ore 20.30 al Convento di Santa Maria la Vite. Non mancate!

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Un’ analisi intensa e magistrale

Tenendo per la prima volta “D’in su la vetta ….” fra le mani, l’indovinato titolo provoca subito un moto di curiosita’ e un pensiero:” Ma cosa potra’ accomunare Leopardi, uno dei piu’ grandi e famosi poeti italiani, nato duecent’anni fa, e Carmelo Bene, attore e scrittore ultra moderno, genio controverso e stravagante, la cui fama era costantemente offuscata dal suo biasimevole comportamento e dal suo penchant per lo scandalo? Risulta che questo bel saggio e’ interessantissimo e coinvolgente appunto perche’ mette in netta evidenza le non poche caratteristiche condivise da questi due personaggi, tormentati da profondi conflitti e travagli interiori, di salute precaria, insofferenti delle convenzioni e limitazioni sociali, in rivolta contro le tradizioni sorpassate, e ancor piu’ contro l’incomprensione della critica e dei loro stessi genitori. Attraverso questo originale confronto, Giuseppe Leone e’ riuscito a connettere mirabilmente queste due straordinarie personalita’non solo affermando la pienezza artistica e l’innegabile impatto culturale di entrambi, ma anche dando un nuovo significato alle intime emozioni, alle sofferenze, all’intolleranza e le polemiche di Leopardi e Carmelo Bene.“D’in su la vetta…” e’ un’opera particolarmente comprensiva e impegnativa che fra l’altro, fa emergere Leopardi quasi come genio contemporaneo di Carmelo Bene,annullando cosi’ la grande distanza di tempo fra i due artisti, e conferendo a questa analisi un’interesse ancor piu’ vivo e attuale. Giuseppe Leone dimostra di aver fatto –e con grande entusiasmo e maestria—un lungo e intenso lavoro di ricerca, arricchito da un’ampia e accurata selezione d’interpretazioni e citazioni di Leopardi, di Bene e di tanti altri studiosi e critici illustri.
In “D’in su la vetta..”, Leopardi e Bene sono presentati principalmente come i geni creatori di una “ cultura nuova”e alcune delle loro opere come ispirazioni necessarie per risollevare il prestigio della cultura italiana. A questo fine, entrambi affrontarono fra l’altro il tema della “voce” verso il “silenzio” della scrittura; Leopardi nelle sue “Operette morali”, e Carmelo Bene nel suo “Sono apparso all Madonna,” misero in grande rilievo il vantaggio della “voce”, proponendo il mondo del suono e l’immediatezza del sonoro come piu’ avvincente della scrittura, e spesso piu’ adatto a risvegliare e a coinvolgere le emozioni e a rendere comprensibili opera d’arte a un piu’ vasto numero di persone. Inoltre per Carmelo Bene, la voce, o il suono, ascoltato mentre si perde nel silenzio, era la suprema realta’ che annulla l’io convenzionale, come del resto, lo era per Leopardi quando ascoltando la voce del vento, il canto degli uccelli, il sonoro quotidiano, sentiva il suo io perdersi in questi e nel silenzio dello spazio infinito. Per entrambi, il sonoro era anche fonte d’oblio: ascoltare per dimenticare sofferenze e delusioni: il canto come conforto. E qui, Giuseppe Leone osserva che Leopardi e Carmelo Bene ebbero entrambi aspirazioni al di la’dei confini umani, al di la’ della realta’, al di la’ dell’ essere convenzionale; avevano percepito l’irrealita’ che circonda la vita programmata e condizionata dalle tradizioni sociali.
Fra le altre molteplici caratteristiche condivise, le seguenti potrebbero essere le piu’ dense di significato: Leopardi e Bene vissero la loro infanzia in un’ambiente altamente religioso; entrambi erano molto devoti e servivano spesso la messa da fanciulli; Carmelo Bene persino quattro volte al giorno, giocando poi in Chiesa con le statue dei santi. Di Leopardi il padre scriveva: “….Sommamente inclinato alla divozione….. Giocava agli altarini: serviva volentieri messa….Voleva diventare Santo….” (Giuseppe Leone, “D’in su la vetta della torre antica”. Giacomo Leopardi e Carmelo Bene sospesi fra silenzio e voce.
Tutta questa religiosita’ sara’, piu’ tardi, causa di profonde riflessioni filosofiche, di travagli interiori, di amarezze e delusioni, risultando nella perdita della fede di entrambi. Leopardi e Bene erano anche accomunati dal grande desiderio di rimanere fanciulli, di godere le gioie dell’infanzia e i privilegi della “vita bambina”. Il rifiuto di crescere e la nostalgia della fanciullezza, sono chiaramente dimostrati da entrambi: nello “Zibaldone”, Leopardi scriveva: “….Dato l’andamento e le usanze e gli avvenimenti e i luoghi di questa mia vita sono ancora infantili; io tengo afferrati con ambe le mani questi ultimi avanzi e queste ombre di quel benedetto e beato tempo, dov’io sperava e sognava la felicita’, e sperando e sognando la godeva….” E ancora: “…. La massima parte delle immagini e sensazioni indefinite che noi proviamo pure dopo la fanciullezza e nel resto della vita, non sono che una rimenbranza della fanciullezza, si riferiscono a lei…..” (Op. Cit., pg. 80) E nel suo “Pinocchio”, Bene dichiara: “…..L’essermi come Pinocchio rifiutato alla crescita, e’ se si vuole la chiave del mio smarrimento gettata in mare una volta per tutte….” (Op. Cit., pg. 80). Nell’analisi di questo “rifiuto di crescere” dei due artisti, Giuseppe Leone sembra immedesimarsi con grande sensibilita’ artistica,nel contenuto umano di questo confronto, nei sentimenti e il pathos di questi due geni e anche nella loro infinita nostalgia della fanciullezza, quando scrive, per esempio, di Carmelo Bene: “ Nel suo “Pinocchio, ulteriore alter ego della sua biografia, attaverso il quale puo’ rappresentare metaforicamente, il suo rifiuto di crescere, poiche’ individua nel rimanere bambino il concentrarsi di tutto il potenziale dell’esistente non ancora realizzato ma sospeso nel possibile…..” (Op. Cit., pg. 79-80).
Significativa in questo brillante saggio e’ anche l’analisi degli innumerevoli scontri e polemiche che Leopardi e Bene ebbero con la societa’, con la famiglia, e particolarmente, con la critica; essendo entrambi profondamente consapevoli del valore delle loro idee e delle loro opere, rifiutarono di essere invischiati nell’ intrattenimento e la socievolezza, lottando accanitamente contro l’implacabile animosita’ della critica, nonostante le loro gravi e continue sofferenze fisiche. Nel capitolo: “Leopardi e Bene geni ma senza premi”, troviamo che le approfondite osservazioni di Giuseppe Leone fanno particolare riferimento ai giudizi negativi della critica “…che non ha mai perso l’occasione di scrivere e parlar male della loro opera…”. Significativi sono fra l’altro, il giudizio “stroncatorio” di Giuseppe Mazzini (Op. Cit., pg. 86), e la sconfitta e disperazione di Leopardi quando partecipo’ a un premio letterario nel 1830 con le sue “Operette Morali” che furono nominate al terzo posto. (Op. Cit., pgg.90-92). Naturalmente, questo smacco provoco’ Leopardi a inveire contro il vero proposito di questi premi; polemica condivisa anche da Carmelo Bene. (Op. Cit., pg. 94). Di rilevante interesse sono anche le pertinenti osservazioni dell’autore sull’odio reciproco fra Carmelo Bene e la critica (Op. Cit., pgg. 96-104). Chiudendo questo capitolo, Giuseppe Leone sottolinea la tensione emotiva dei due artisti riguardo l’incomprensione dei critici: “….Tuttavia Leopardi ne era cosciente e aveva anche scritto un’aforisma che Carmelo Bene, guarda caso, aveva scelto come esergo per uno dei suoi tanti scritti: “….Tanto e’ l’egoismo e tanta l’invidia e l’odio che gli uomini portano gli uni agli altri, che volendo acquistar nome, non basta fare cose lodevoli, bisogna lodarle, o trovare, che torna lo stesso, alcuno che in tua vece le predichi e le magnifichi di continuo…….Spontaneamente non isperare che faccian motto per grandezza di valore che tu dimostri, per bellezza d’opere che tu facci…..” (Op. Cit., pg. 102)
Un breve saggio non e’ sufficente per descrivere l’interessantissimo e originale contenuto di questo volume; “D’in su la vetta….” e’ opera agile e precisa, sostanziosa e penetrante, che tiene ferma l’attenzione del lettore; e’ anche un profondo studio del pensiero, delle emozioni di Leopardi e di Carmelo Bene; Giuseppe Leone dimostra di aver compreso mirabilmente la grandezza e la disperazione di questi due geni trasformandole in emozioni attuali e concrete per il lettore; “D’in su la vetta ….” rimarra’ unico nel tener vivo e presente questo originalissimo confronto; un’idea geniale, una stimolante lettura che senza dubbio, aprira’ nuovi orizzonti al pensiero.

Aida Isotta Pedrina 

 

Un pensiero su &Idquo;Giuseppe Leone “D’in Su La Vetta Della Torre Antica”

  1. Grazie, è un articolo molto interessante ed esauriente premessa alla tua intervista di venerdì prossimo 🙂

    Ciao, Marzia

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