“ESSERE” di Fabio Tombari illustrato dai dipinti di Orlando Sora in un evento a Rio Salso di Mondaino

Una serata indimenticabile con la Myo Young Orchestra di Mondaino che ha dato il via alla serata, ci ha poi allietato con un intermezzo musicale alla chitarra suonato da un giovanissimo interprete, di cui non ricordo il nome ma lo chiederò, in onore di Orlando Sora, chitarrista egli stesso, e che ha chiuso con altrettanta bellezza. Di questa serata, oltre al calore del pubblico e alla bravura dell’associazione PresenteFuturo che l’ha organizzata, mi è rimasta nel cuore l’orchestra e questi ragazzi proprio bravi. Hanno portato un tocco di magia con la loro musica e il messaggio che si possano creare cose belle a qualsiasi età. Il Maestro Michele Chiaretti ha ricordato i sacrifici e le ore di studio che ogni interpretazione porta con sé, mi ha commosso pensare a questi giovanissimi che studiano e si sacrificano per creare musica. L’ho trovato bello. Grazie.

L’ingresso della casa di Fabio e Angela Tombari a Rio Salso

Abbiamo visitato la casa all’interno, sarebbe una meraviglia recuperarla, farne un centro culturale, ci starebbe bene a Rio Salso, sta cedendo dopo anni in cui nessuno ci vive più. Non so se sia possibile fare qualcosa al riguardo, non sono mai riuscita a sapere molto della storia di questa casa, so solo che è affascinante.

Il cuore della casa: la grande cucina a piano terra

Il regno di Angela Busetto Tombari che scriveva con passione e attenzione le opere che Fabio le dettava, ma era anche in grado di preparare ottime marmellate e dolci e gestire con discrezione la vita delle persone intorno.

L’uscita principale, il prato davanti alla casa
L’allestimento per la serata, su tutto domina il grande ippocastano centenario: quante cose avrebbe da raccontare!
La Presidentessa dell’Associazione PresenteFuturo, Erica Guarandelli, emozionata, saluta i presenti e dà l’avvio all’inizio all’evento. A destra, in alto, lo schermo su cui, per tutta la serata, si sono proiettate i dipinti delle opere di Orlando Sora.
Lucia Generali, che ha gentilmente concesso l’uso della proprietà, legge uno scritto di Elena Puglisi, un ricordo di quando bambina aveva conosciuto Orlando Sora, amico d’infanzia del nonno e di tutta la vita, un giorno che era venuto in visita a Rio Salso.
Il Sindaco di Mondaino, Massimo Giorgi con un saluto a tutti
Il vice sindaco di Tavullia, Laura Macchini, dopo i saluti e un pensiero Ad Angela e Fabio Tombari, legge un bel un brano dal Libro di Tonino di Tombari

Ma vorrei ringraziare anche Marzia Cecchini e tutti gli altri componenti del gruppo PresenteFututro che hanno veramente fatto un gran lavoro, tra cui allestire il palco per l’orchestra e avere un generatore per l’elettricità e tutto il resto. Ne è valsa la pena, grazie!

La Mio Young Orchestra di Mondaino diretta dal Maestro Michele Chiaretti

E vorrei, se riuscirò a farlo, riportare un paio di brani dell’orchestra, altrimenti cercateli su FB, sul sito di Orlando Sora, o magari su you tube.

L’ultima parte del mio intervento: Fabio Tombari e la lirica “Essere”:

Fabio Tombari è uno scrittore estremamente originale, con uno stile molto personale, difficile da inquadrare in uno schema letterario: descrittivo, fluido, spontaneo, talvolta polemico. I dialoghi dei suoi racconti possono essere spiritosi, teneri o sottilmente ironici, ma mai banali. Nel suo primo libro, “Frusaglia” lo scrittore racconta la vita di un paese immaginario, ma non troppo, con molta arguzia, un libro scritto a soli 25 anni e che ha dell’incredibile ancora oggi, dopo un secolo.

La natura è l’unica vera protagonista dell’arte tombariana, lui è un ecologo ante litteram: ama e rispetta la natura e tutte le sue creature e considera l’ambiente che lo circonda la sua casa. Questo ben dapprima che l’ecologia divenisse popolare. 

Molto suggestiva ed emozionante la lettura del Libro degli Animali, un libro particolare che racconta con grande tenerezza episodi della loro vita. Ed è così anche per “I mesi”, un piccolo gioiello narrativo, in cui lo scrittore descrive minuziosamente il cambiamento che avviene nella natura di mese in mese. Che sia Il Libro degli animali, o I mesi, o Frusaglia, o i Ghiottoni la natura è al centro della narrazione poetica di Tombari in tutte le sue espressioni, ed è sempre lei la protagonista dei suoi scritti.

Fabio Tombari pubblica il poemetto Essere nel 1953, unico componimento lirico di tutta la sua vasta produzione letteraria, ma anche un significativo momento d’incontro tra la poesia e la filosofia dell’Essere: un Essere che non è una forma statica immobile o immutabile, ma che cresce, si sviluppa evolve e si rispecchia nel creato, come recita l’incipit della lirica: 

Essere/ fino a morirne/ ed essere in tutte le cose.

Un Essere sempre in divenire che si perde e si ritrova nella bellezza che lo circonda, e, sin dal primo verso, si dona: Essere aria e respirare, acqua e dissetare.

In questo suo capolavoro poetico Tombari conduce l’Essere, quell’Essere che è in ognuno di noi, in un viaggio attraverso i quattro elementi: acqua, aria, fuoco, terra, (l’ordine in cui li cita) per dire che tutta la vita che ci scorre velocemente davanti, ha radici ben più profonde di ciò che vediamo in apparenza, e che è l’Essere, cioè il nostro Corpo Spirituale, a mantenere in vita quello fisico. (La vita come ricerca dell’Essere).

“Aver l’aurora dentro

e risvegliarla in chi dorme 

perché chi è morto si desti 

dai secoli spenti”.   

L’Essere diventa acqua, elemento di dono, sorgente di vita: 

l’Essere è pioggia

che scende fresca e leggiera, 

senza legami: 

donarsi per donare

E s’identifica, libero, nella luce e nell’aria che fluisce e s’irradia:

Perdersi in chiarità, in leggerezza

nella luce, nell’aria,

dileguare, diffondersi

e rifletter l’incanto.

E continua il suo pellegrinaggio tra gli elementi facendosi Fuoco, un fuoco vigoroso che accetta con coraggio le sfide della vita:

Essere il sole, il solo: 

ad esser cosciente,

…..un centro, un fuoco:

e ardere in un rogo celeste.

Infine diventa Terra, si rivela nell’aspetto mortale, nella passione, nella fatica quotidiana, nell’amore per l’altro: 

dar tutto e non posseder nulla. 

Servire.

Per chiudere con una verso bellissimo sulla presenza di quell’Essere invisibile che è dappertutto… per chi volesse accoglierlo. 

Sta su tutte le soglie 

e non entra

e già entrato.

Vorrei chiudere dicendo che vedere due artisti, liberi e solitari, come erano Orlando Sora e Fabio Tombari, insieme, era un evento particolare: dotato di grande fluidità linguistica Tombari, mentre Sora faceva fatica a spiccicare due parole e arrossiva finanche, tuttavia c’era una sottile vena  spirituale ma anche spiritosa che li univa e non li abbandonava mai. Scrivere di loro è stata un’avventura appassionante: due artisti più o meno della stessa età, nati intorno al Novecento, nella stessa città, che hanno condiviso infanzia e adolescenza, sono diventati artisti notevoli rimanendo legati da un sentimento profondo per tutta la vita, non è una storia comune. Tombari e Sora pur avendo amicizia e affetto reciproco, non avevano mai rivelato l’un l’altro, il loro amore per l’arte per una sorta di ritrosia o riserbo. Si erano scoperti quando erano diventati entrambi famosi, nel 1927, come racconta Fabio Tombari nel suo racconto: “Orlando Sora”, dove si firma, “L’amico suo Fabio Tombari”.

Leggendo “Essere”, una lirica di grande spiritualità, come la pittura di Sora, accostavo ai suoi versi i tanti dipinti di Sora che affollavano la mia mente… un viaggio indimenticabile come la serata di Rio Salso.

Infine, un ringraziamento a Gabriele Burrini, grande ammiratore di Fabio Tombari che, con i suoi scritti, mi ha ispirato e aiutato nella comprensione di “Essere”.

Giovanna Rotondo

Essere di Fabio Tombari illustrato dai dipinti di Orlando Sora

Sì, il libro è già uscito da qualche mese. Un desiderio che avevo da tempo. Sono contenta di averlo potuto realizzare. Mi è costato molta fatica, per una serie di ragioni e non è ancora finita. Ma sono stata compensata dalla bellezza del lavoro: rileggere un’infinità di volte la lirica e cercare il dipinto più in sintonia con il verso è stata un’esperienza che mi è entrata nel cuore e nella mente. A volte c’era più di un’immagine che sarebbe andata bene e allora la scelta diventava difficile, ma ce l’ho fatta… e mi sento grata per avere avuto questa possibilità. Conoscere due artisti come Fabio Tombari e Orlando Sora, che molto hanno condiviso nella loro vita, non capita tutti i giorni,  tuttavia,  fare un viaggio nella loro arte è un privilegio ancor più grande.

Volevo chiarire le ragioni per cui ho scelto il Giorno del Giudizio per la copertina; oltre a intonarsi alla lirica, la ritengo un’autentica opera d’Arte e mi piace molto. Peraltro, è stata una decisione dell’ultimo momento, in un primo tempo avevo scelto il Paesaggio con la luna. Tuttavia sono contenta di aver “percepito” quest’opera come quella più in sintonia. E’ una precisazione che penso sia giusto fare, dopo aver ascoltato le varie motivazioni che mi sono state attribuite: semplicemente una scelta che mi piaceva, da me compiuta in assoluta solitudine.

Ringrazio Federica Antonelli e Giacomo Panicucci per aver acconsentito alla pubblicazione di alcuni scritti delle loro tesi di laurea: Federica per la sua tesi su Orlando Sora e Giacomo per la sua tesi su Fabio Tombari.

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Presentazione Libreria Cattaneo – Lecco

Fabio Tombari cattaneo

Una presentazione molto sentita dalle persone presenti che hanno fatto domande sulla lirica e sui dipinti. Gianfranco Scotti ha letto parte della lirica ed è stato bellissimo ascoltarlo. Inoltre ha letto una storia dal Libro degli animali: “La lucciola” e una da Frusaglia. Ci hanno sbalordito per la loro bellezza e attualità. Ci saranno presto altri momenti. Giovanna.

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Le persone che vengono a visitare il mio blog sono benvenute e mi fa piacere che ci siano, sono la ragione principale del mio lavoro. Chiedo solo, nel caso qualcuno decidesse di usare un mio scritto, una foto o un disegno del blog, la cortesia di citare la fonte. Mi dispiace dover mettere il copyright e non ha senso. E’ bello condividere.  Grazie.

 

 

 

Giovanna Rotondo: Orlando Sora, affresco, la Moderna, Lecco

 

 

ORLANDO  SORA

LA COOPERAZIONE, AFFRESCO 1958

 

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Ricordo bene il tempo in cui Orlando Sora si accingeva a dipingere l’affresco del grattacielo della Moderna: è stata la prima volta che ho assistito  alla complessa preparazione di un affresco. Dapprima la realizzazione del bozzetto e le sue varianti, poi le prove su mattoni di coccio e, infine, la preparazione degli spolveri. Gli spolveri sono i cartoni con i disegni dell’affresco: si buca il tracciato del disegno con una rotellina, in seguito si appoggia il cartone bucato sull’intonaco umido e si tampona o “spolvera” con un sacchetto di tela riempito di carboncino; in questo modo i contorni del disegno rimangono tracciati sulla parete e vengono poi affrescati intanto che l’intonaco è “fresco”.  Il mio aiuto consisteva nel tenere il foglio aperto e ben steso intanto che Sora lo bucava.

Orlando Sora amava l’affresco, ne parlava sempre e si emozionava parlandone: era affascinato dalla trasparenza che assumevano i colori assorbiti dall’intonaco fresco, una pittura viva che si legava a tutti gli elementi che la componevano. L’Arte e mestiere del Rinascimento a cui Sora si riferiva seguendo e studiando le tecniche di Cennino Cennini  e di Giorgio Vasari, i suoi maestri.

L’affresco del grattacielo della Moderna presenta tutte le caratteristiche dei grandi affreschi: la trasparenza del colore, la bellezza della composizione, la tecnica e la maestria dell’esecuzione.

Giovanna Rotondo

Giovanna Rotondo: Orlando Sora, l’artista che abbiamo amato

Orlando Sora

L’artista che abbiamo amato

Copia di autoritratto 1937

Orlando Sora, con quel viso tagliato nella pietra, i capelli neri, ricci ricci, un fisico asciutto, aveva mantenuto un certo fascino anche in là con gli anni. 

Quando l’avevo conosciuto, aveva superato da poco la cinquantina, non aveva nulla dell’uomo di quell’età, i suoi capelli erano ancora ricci e neri e gli capitava di  arrossire spesso nonostante gli anni. La timidezza era il suo cruccio, mi raccontava spesso della fatica per superarla, soprattutto in eventi come i concerti, poiché era un appassionato musicista e suonava in pubblico.  

Mi aveva fermato un giorno che l’avevo incontrato insieme a suo figlio Riccardo e, con un’aria quasi da ragazzo, mi aveva avvicinato e chiesto se potesse farmi il ritratto: “Sono Orlando Sora e questo è mio figlio Riccardo, volevo chiederti se posso farti il ritratto, sono un pittore”. Io non avevo capito subito, ero una ragazzina piuttosto sprovveduta, arrivata dal sud con la valigia di cartone insieme alla mia famiglia, qualche anno prima, e mi sentivo ancora spaesata. Lui mi aveva ripetuto l’offerta e mi aveva detto di chiedere il permesso ai miei genitori. Era stato l’inizio di una bella storia tra il pittore e la sua modella.

Non ho mai dimenticato la sensazione che ho avuto la prima volta, entrando  nello studio di Via Appiani e guardando i suoi dipinti: mi ero sentita come Alice nel paese delle meraviglie… li avevo amati! L’intuizione confusa  di trovarmi davanti a qualcosa di grande era diventata, con il tempo, una certezza.

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Lo studio, uno stanzone luminoso con due ampie finestre che arrivavano al soffitto, un pavimento di vecchi listoni di legno divenuti grigiastri e polverosi per l’uso, aveva un’atmosfera  affascinante. C’erano cavalletti di diverse misure ai lati e quadri dappertutto: appoggiati al muro della parete in fondo, per terra, messi uno sopra l’altro, appesi. Tantissimi. Il tutto poteva appariva  disordinato, ma ogni oggetto aveva la giusta collocazione. Sora lavorava sul cavalletto posto al centro, con accanto il tavolino dove impastava le terre  e creava i suoi colori, e, dietro, la pedana per i ritratti.

E’ stato bello posare, mi sentivo parte di qualcosa, veder realizzato un dipinto  a cui avevo contribuito con la mia presenza, mi sembrava un sogno: oltre alla ragazzina scontrosa qual ero, ce n’era un’altra che lui aveva intravisto e dipingeva.

Ho avuto il privilegio di veder nascere uno dei miei dipinti preferiti: “Il paesaggio con la luna”. Ricordo che me ne stavo seduta in un angolo dello studio, immobile come uno dei tanti quadri intorno a me, attenta a non distoglierlo dalla sua ispirazione mentre lavorava. Lui dipingeva assorto, arretrando di tanto in tanto, gli occhi socchiusi per meglio mettere a fuoco la sua opera, dimentico della mia presenza e da tutto quanto lo circondava.

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“Il paesaggio con la luna” una composizione con in primo piano una figura solitaria, in piedi contro la montagna dove si appoggia una luna gialla e, vicino, un cavallo bianco. Un’opera che dà la percezione dell’infinito e da cui traspare una grande spiritualità. Due creature a contatto con la natura, nel silenzio. Mi sono sentita come se fossi quella figura solitaria del dipinto, e, ancora oggi, ogni volta che lo guardo, avverto la stessa emozione.

Un giorno gli avevo detto: “Mi piacerebbe descriverti mentre dipingi”.

Sora, un artista che guardava al Rinascimento… Il desiderio di poter realizzare un’opera di pittura murale come l’affresco,  diventava, per lui, una necessità: “Il libro dell’Arte” di Cennino Cennini” era il suo riferimento. Un manuale che parla di pigmenti, pennelli,  tecniche d’affresco e molto altro;  un testo da cui non si può prescindere, se si è artista a tutto tondo. 

Mi permetteva, talvolta, di aiutarlo a bucare con un punteruolo gli “spolveri”, i cartoni con i disegni degli affreschi da appoggiare sulla parete da affrescare, in seguito li avrebbe tamponati con un sacchetto di tela riempito di carboncino, per tracciare i contorni sull’intonaco fresco. Arte e mestiere. 

Ci ha lasciato opere di eccezionale bellezza come “Il Giorno del Giudizio” l’affresco  della Chiesa di San Giuseppe al Caleotto, degna di Giotto e Masaccio, i suoi Maestri. 

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Alcuni suoi ritratti sono autentici capolavori. Ce n’era uno che a me piaceva molto per l’espressione profonda e malinconica che vi traspariva, una piccola testa che mi raffigurava. L’ammiravo sempre, sapevo  che se gliel’avessi chiesta  me l’avrebbe donata. Ma non avevo mai osato, ora non so dove sia. 

Un altro ritratto che trovavo più che bello era quello di sua figlia Vanna che studiava: una bimbetta con le trecce castane, in posa di tre quarti, avvolta in sfumature di luce dalle tonalità pastello  con qualche lieve tocco bianco/azzurro. Uno dei più intensi e particolari: si trova a Villa Manzoni,  nelle Sale dedicate alle opere di Sora.

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C’erano quasi trent’anni di differenza tra il “Paesaggio con la luna” il mio ritratto e “La figlia del pittore”. Quest’ultimo appartiene al periodo degli Anni Trenta, un tempo in cui Sora aveva dipinto molto con la sua famiglia, i suoi figli: un periodo amorevole, dai toni chiari e luminosi. L’altro, agli Anni Sessanta, un momento altrettanto bello, come ogni tempo della sua pittura.

Emozioni simili si possono percepire in molte delle opere di Orlando Sora. Trovo che lui avesse la capacità di cogliere l’aspetto più intimo della personalità di chi gli stava di fronte, soprattutto quando si sentiva in sintonia, e, nelle composizioni, di esprimere la spiritualità dell’essere umano. 

Al pomeriggio, quando finiva di dipingere o disegnare, dopo aver lavato i pennelli, suonava e studiava la chitarra classica fino all’ora di cena. La chitarra classica, uno strumento dal suono limpido e forte, era l’altro grande amore della sua vita dopo la pittura e la sua famiglia: aveva le più belle chitarre che si potessero trovare!  A quell’epoca Sora era considerato  uno dei migliori chitarristi classici e aveva suonato spesso con Segovia del quale era amico. La musica l’appassionava tanto quanto la pittura: ha suonato come solista per la Gioventù Musicale, ha accompagnato la Corale di Lecco nei sui concerti, ha studiato contrappunto e l’ha fatto da solo, come da solo eseguiva le trascrizioni dal liuto alla chitarra classica e componeva musica senza scriverla, per puro piacere. 

Un solitario, un autodidatta di straordinario talento! 

Mi diceva: 

“Leggere una pagina di musica è come leggere un racconto in un libro, con la differenza che qui la storia è scritta con segni diversi e le si può dare un suono con uno strumento”.

Giovanna Rotondo